sabato 28 novembre 2015

Globalizzazione e “connettività complessa”: le condizioni empiriche della Società Interconnessa | controllo vs cooperazione - Articolo del Dott. Piero Dominici

Attraversiamo un’età secolare contrassegnata da un continuo processo di ridefinizione degli immaginari sociali e degli orizzonti morali, da una sorta di Grande Sradicamento (Great Disembedding) (Taylor, 2007) che ha messo in discussione il concetto stesso di identità; una fase di mutamento che è sembrata configurarsi più come l’era del trionfo della pluralità dei giochi linguistici – aventi come fulcro l’azione sociale - che come l’era del globale e dell’omogeneo (Lyotard vs.Habermas). Il pensiero moderno e contemporaneo, quindi, sembra partire proprio dalla consapevolezza di questa crisi, dal dato di fatto che non esistono più conoscenze indiscutibili, culture predominanti, valori assoluti, verità incontrovertibili, bensì conoscenze probabilisticamente e statisticamente attendibili, valori relativi, spiegazioni complesse. In altri termini, si prende atto che la conoscenza, oltre ad essere il risultato di un complesso processo di acquisizione intersoggettiva, costituisce l’esito tutt’altro che scontato di un percorso che si sviluppa, non tanto per deduzione logica o semplice accumulazione lineare di informazioni, quanto per tentativi ed errori (casuali o sistematici) in grado di far avanzare il pensiero e la ricerca. Si tratta, fondamentalmente, di una crisi della razionalità occidentale e delle forme di vita da essa prodotte; una crisi che coincide con un momento autopoietico di autoriproduzione e autorinnovamento.

La dinamicità intrinseca, che ne è scaturita, ha avuto come sua prima conseguenza un processo di sviluppo ineguale (la globalizzazione) che si è concretizzato in nuove forme di interdipendenza dall’impatto globale che il sapere riflessivo rende (auto)evidenti. La stessa globalizzazione, a nostro avviso, non si è mai rivelata come un momento di frattura – concetto di postmodernità (rispetto alla cosiddetta prima modernità; al contrario, essa ha costantemente mantenuto al suo interno tutte le contraddizioni tipiche del moderno, estendendole su scala globale e radicalizzandone gli effetti (si pensi anche al concetto di ipermodernità, alternativo proprio a quello di postmodernità). L’economia globale della conoscenza continua a mantenere al suo interno due spinte, già presenti nel moderno, che si affrontano dialetticamente in campo aperto: da una parte l’interdipendenza (e interconnessione) economica e tecnologica, dall’altra, la frammentazione sociale, politica e culturale. Alla base di queste dinamiche vi è, in ogni caso, la ben nota consapevolezza della crisi del pensiero non più in grado di fornire modelli di problemi e soluzioni accettabili (Kuhn,1962)

La comunicazione, in modo complementare allo sviluppo delle forze produttive, è stata da sempre la variabile decisiva per lo sviluppo dei sistemi sociali. Il miglioramento dei flussi comunicativi, dal vertice alla base delle società umane, ha rappresentato sempre un progresso, quanto meno un momento di passaggio verso nuove forme della socialità e nuove forme di mediazione degli interessi e dei conflitti: la nascita dei sistemi democratici, la diplomazia nei rapporti internazionali e la burocrazia in quelli tra cittadino e Stato, ne sono degli esempi paradigmatici. Nell’attuale fase di mutamento, oltretutto contrassegnata da una profonda crisi (evidentemente) non soltanto economica, la comunicazione e la conoscenza sociale potrebbero concretamente contribuire anche ad un processo di riavvicinamento tra sistema di potere e società civile, definendo una nuova simmetria dei rapporti sociali, con inevitabile riconfigurazione e riposizionamento della sfera pubblica. In termini pratici, ciò si tradurrebbe nel rafforzamento di un’opinione pubblica (locale e globale) sempre più critica e informata e, per questa ragione, sempre più partecipe e destinataria attiva delle scelte della Politica. Potrebbe essere questo il vero valore aggiunto della modernità radicale, dopo la grande illusione del postmoderno. Da questo punto di vista, il nuovo ecosistema della conoscenza trova nell’economia interconnessa potenziali opportunità di democratizzazione della conoscenza e dei processi culturali in grado di scardinare, definitivamente, il vecchio modello industriale costituito da assetti consolidati, gerarchie, logiche di controllo e di chiusura al cambiamento. La conoscenza, risorsa immateriale strategica per il mutamento in corso, comincia ad essere sempre più vista e percepita come bene comune in grado di ristabilire rapporti sociali e di potere meno squilibrati e asimmetrici.

In questa stessa linea di discorso, è di vitale importanza il non ricadere nell’errore storico di misurare le disuguaglianze solo sulla base di indicatori economici: l’accesso alla conoscenza, all’informazione, all’istruzione, la possibilità di vedere riconosciuti la propria identità e i diritti di cittadinanza, l’eguaglianza delle opportunità, le libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero e di realizzarsi, lo sviluppo della società aperta sono indicatori fondamentali tanto quanto il reddito pro-capite o il PIL. La politica deve attivarsi affinché i media sociali e le reti diventino tecnologie di cooperazione e non di controllo, aprendo alla sperimentazione di nuove forme di partecipazione democratica ed al potere delle moltitudini mobili e intelligenti (Rheingold, 2002).

La logica del libero mercato autoregolato ha avuto un peso rilevante ma la dimensione socioculturale continua a rimanere assolutamente strategica nella lettura anche di fenomeni e processi economici. In tal senso, non possiamo non prendere atto come la società globale sia stata plasmata dai valori di un individualismo talvolta esasperato – anche dalla stessa retorica postmoderna – e dal mito di una produttività senza lavoratori. A nostro avviso, è stata creata quasi una mitologia dell’Individuo autonomo e svincolato da ogni legame, un individuo che, per le sue azioni, sembra non dover rispondere a niente e nessuno: altro che il riferimento alla ben nota distinzione tra etiche dell’intenzione ed etiche della responsabilità. Siamo andati ben al di là di ogni vincolo giuridico e/o culturale: contano il denaro e il consumo e l’unico (micro)potere dei cittadini è nel loro essere consumatori. Tali dimensioni, insieme al vuoto di significato lasciato dalla crisi delle ideologie, hanno prodotto, tra le conseguenze, anche una sorta di generale disarmo morale, che nutre la società dell’irresponsabilità (Dominici, 2010) – un tipo di società dove, al di là di un quadro normativo e deontologico estremamente articolato, l’etica e la responsabilità sono molto “parlate” e discusse, ma poco praticate – priva di qualsiasi etica del sacrificio. La mitologia dell’individuo sovrano, portatore di diritti ma non di doveri, ha prodotto danni difficilmente calcolabili/valutabili soprattutto per ciò che concerne il rispetto del Bene comune e della “cosa pubblica”, ma anche il modo di percepire e osservare norme, valori, regole, modelli di comportamento etc.; una mitologia o, per meglio dire, una narrazione che ha prodotto, tra gli altri effetti, una deregolamentazione negativa e una deresponsabilizzazione degli attori sociali, a tutti i livelli. Anche da questo punto di vista, occorre uscire da questa fase di navigazione a vista, in cui i legami tra l’individuo e le istituzioni, tra l’individuo e le tradizionali agenzie di socializzazione (famiglia, scuola, religione etc.), tra la Politica e i cittadini, si sono fortemente indeboliti e questa distanza che si è creata ha certamente favorito il coinvolgimento sempre più massiccio e decisivo dei media – e nello specifico della Rete e dei media sociali – nel processo di formazione delle identità individuali e collettive e, perfino, nel riconoscimento e nella definizione operativa delle istanze sociali su cui operare delle rivendicazioni nei confronti della Politica. Questa ulteriore proliferazione dei centri formativi e, più in generale, delle arene in cui si sostanzia il pensiero e si progetta la prassi procede di pari passo con la crisi comunicativa che ha investito le istituzioni e gli attori tradizionali del processo formativo, sospesi tra informazione eccessiva e paura della disconnessione.

L’egemonia della razionalità strumentale e dell’economia di mercato (autoregolato) ha finito con il far trionfare una logica di dominio che è stata estesa alla totalità della vita sociale. Tale processo ha indebolito anche i legami che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive. Al livello della coabitazione sociale, si è generata pertanto una società globale fortemente individualizzata, che scarica molte più responsabilità sulle spalle di ogni singolo attore sociale richiedendo una libertà responsabile. Sotto questo aspetto, lo sviluppo delle forme di comunicazione mediata (Thompson,1995), al di là dei vantaggi in termini di telelavoro e di distribuzione della conoscenza, potrebbe anche raffreddare ulteriormente i meccanismi protagonisti della produzione di capitale sociale.

La crescita esponenziale del potere finanziario ha avuto conseguenze estremamente negative per l’economia-mondo e, soprattutto, per la vita delle persone; il processo di formazione di uno spazio virtuale, ove far scorrere ad altissima velocità i flussi economici ed informativi, non ha fatto altro che privare la Politica e i sistemi di potere del controllo sul proprio corpo, separandoli ulteriormente dalla società civile e dai singoli attori sociali. E credere che la tecnologia (in particolare, le reti) possa risolvere qualsiasi problema, compreso il riavvicinamento tra Politica e cittadini potrebbe rivelarsi l’ennesimo errore fatale. Dal momento che la prassi politica e sociale, pur trovando nuove arene virtuali di costruzione e organizzazione del consenso e/o delle opinioni, richiede il passaggio cruciale dall’elaborazione teorica all’azione pratica, concreta, che deve incidere sul decisore politico. E per far questo occorrono attori sociali informati e criticamente formati in carne e ossa, destinatari attivi e consapevoli dentro le loro reti di cooperazione sociale.

La società degli individui, emancipatasi dai vincoli della tradizione e, in un certo senso, in balìa della crescita del potenziale della razionalità rivolta allo scopo, deve fronteggiare la crescita esponenziale delle forze produttive che rende il processo di modernizzazione riflessivo, cioè tema e problema di sé stesso.

Il vantaggio è senza dubbio legato al fatto che tali rischi non hanno più la possibilità – come in passato – di essere ignorati dalla sfera pubblica e dalle opinioni pubbliche. Ed è proprio questa la prospettiva in cui si inquadra l’analisi di John Tomlinson (1999) sulla globalizzazione che va intesa, in primo luogo, come un fenomeno culturale costituito da una rete di esperienze che, attraverso i meccanismi di disaggregazione spazio-temporale, modifica in profondità la percezione dei luoghi fisici nei quali ci confrontiamo con l’Altro, estendendo su scala globale gli effetti delle scelte locali adottate. La cultura si configura come risorsa transnazionale. La globalizzazione costituisce la condizione empirica del mondo moderno, condizione che viene associata al concetto di connettività complessa, intesa come processo di «costante infittimento delle reti di interconnessione e interdipendenze che caratterizzano la vita sociale moderna» (Tomlinson, 1999). Si tratta di un processo che può essere interpretato, oltre che come il trionfo della razionalità soggettivistica e strumentale occidentale, anche come il trionfo di un’ideologia omnicomprensiva e totalizzante che avvolge, ingloba, plasma tutte le sfere della prassi e della vita reale. E la critica alla globalizzazione (Gallino, 2000; Stiglitz, 2002), produttrice di un individualismo disgregatore (Touraine A., 2004), è, in realtà, una critica al sistema capitalistico globale (Magatti, 2009) reo di aver infranto l’antica alleanza tra capitalismo e democrazia e di aver puntato esclusivamente su uno sviluppo economico e tecnologico senza considerare le implicazioni sociali e sui singoli individui. L’economia-mondo sta progressivamente depotenziando i meccanismi e i dispositivi propri dei regimi democratici e tutto ciò ha profonde ripercussioni non soltanto su assetti e gerarchie del sistema produttivo globale ma anche, e soprattutto, sull’architettura complessiva dei diritti e delle tutele riguardanti le persone e, nello specifico, i lavoratori. Si verifica così il passaggio dalla società del lavoro alla società del rischio (Beck,1986,1999 e 2007), con la definitiva affermazione di un’economia politica dell’insicurezza.


Articolo tratto da http://www.ethicalcom.net/globalizzazione-connettivita-complessa-piero-dominici/#sthash.2cy7bIQ5.dpuf

mercoledì 4 novembre 2015

Online collaboration, strumenti e metodologie

Per collaborare online occorrono dei servizi e degli applicativi che permettono di
utilizzarli.
Un servizio molto importante è il Cloud computing (in italiano si potrebbe tradurre con elaborazione nella nuvola, dove la nuvola simboleggia internet). Da un punto di vista tecnico, il cloud è sia uno spazio di archiviazione su server remoti messi a disposizione, gratuitamente o a pagamento, da diverse aziende, sia una serie di applicativi basati sul web, i quali cioè non richiedono l'installazione sul proprio computer, ma vengono utilizzati tramite un comune browser web.
Gli strumenti che traggono maggiore vantaggio da questi servizi sono le tecnologie mobili, una serie di dispositivi come gli smartphone e i tablet e le tecnologie che ne permettono il collegamento alla rete dati.
Questi dispositivi e i servizi ad essi collegati permettono di utilizzare strumenti come:
– le comuni applicazioni di produttività, per esempio la videoscrittura, i fogli di calcolo o le presentazioni
– i media sociali, che permettono di mettere in comunicazione gli utenti e di scambiare informazioni tra di loro
– i calendari online che, essendo condivisibili con altri, facilitano le riunioni e gli appuntamenti tra persone
– le riunioni online, dette anche videoconferenze, che danno la possibilità di incontrare altre persone per discutere e scambiarsi opinioni, senza doversi spostare fisicamente, semplicemente usando undispositivo connesso a internet e un applicativo
– gli ambienti di apprendimento online permettono di partecipare a corsi anche complessi e di poter interagire col docente senza doversi recare fisicamente presso il luogo in cui vengono erogati.

Gli strumenti di collaborazione online hanno alcune caratteristiche che ne denotano l'uso e le funzionalità:
– affinché sia possibile la collaborazione, è necessario che utenti multipli possano accedere al servizio – le attività vengono svolte real time (in tempo reale): il lavoro svolto su un file deve poter essere riutilizzato istantaneamente da altri partecipanti
– ciò che si fa deve avere diffusione su scala globale, cioè poter essere fatto ovunque e non essere confinato in una zona particolare
– infine tali attività si svolgono con accessi concorrenti cioè più persone possono accedere alla stessa risorsa e modificarla contemporaneamente.

I vantaggi della collaborazione online sono molteplici:
– più utenti possono condividere file sui quali lavorare e calendari per mezzo dei quali coordinare i propri impegni lavorativi e non solo
– le riunioni online riducono o addirittura eliminano le spese di viaggio
– vengono messi a disposizione diversi strumenti (email, VoIP, chat, videoconferenza) che facilitano la comunicazione
– la facilità di comunicazione migliora il lavoro di gruppo
– la possibilità di accedere a internet quasi ovunque, rende globale l'accesso a questi strumenti, per cui è possibile collaborare online anche in mobilità.

Il cloud computing permette a più utenti autorizzati di accedere a file e documenti condivisi, disponibili sempre e ovunque sia disponibile un accesso a internet, e con qualsiasi dispositivo, fisso o mobile.
Inoltre permette di utilizzare una serie di applicazioni che facilitano la comunicazione tra utenti, come la posta elettronica, l'instant messaging, la videoconferenza e così via. Sul cloud sono disponibili anche applicazione basate sul web, che permettono di lavorare anche senza che il software sia installato sul dipsositivo.
Utilizzare i servizi cloud ha diversi vantaggi:
– riduce i costi rispetto all'installazione degli applicativi sui dispositivi
– permette di lavorare ovunque utilizzando qualsiasi tipo di dispositivo, a condizione che sia possibile connettersi a internet
– è possibile adeguare lo spazio disponibile e le applicazioni utilizzabili in base alle esigenze, che possono variare nel corso del tempo
– le applicazione vengono aggiornate automaticamente dal gestore pertanto non devono essere modificate sui dispositivi utilizzati, riducendo i costi di manutenzione.

Il cloud computing non ha solo vantaggi, ma anche possibili rischi:
– poiché i servizi sopra accennati sono disponibili solo in presenza di un accesso a internet, che viene fornito da un provider (ISP), si dipende da esso per poter utilizzare i dati memorizzati in remoto e le applicazioni web
– è possibile che, a causa di accessi non autorizzati o di malware, i dati non siano protetti in modo ottimale
– se si verifica questa condizione, sono possibili perdite di dati.
Oltre allo spazio di archiviazione online, nel cloud è possibile utilizzare delle comuni applicazioni di produttività, simili a quelle che normalmente sono installate sui computer:
– elaboratori di testi, che permettono di scrivere documenti di testo, e possono essere utilizzati al posto di Writer o di Word
– fogli elettronici, che permettono di svolgere calcoli e funzioni su dati numerici, nonché di realizzare grafici, e che possono essere utilizzati al posto di Calc o Excel
– presentazioni multimediali, che permettono di realizzare diapositive da proiettare a un pubblico per esporre idee, e che possono essere utilizzate al posto di Impress o Powerpoint.

Tuttavia hanno delle funzionalità aggiuntive, rispetto a quelle installate in locale, di enorme importanza per la collaborazione online. In particolare permettono di:
– lavorare in più persone contemporaneamente sullo stesso file, facilitando il lavoro di gruppo e la collaborazione.
– condividere file e cartelle in modo che più persone autorizzate possano accedervi.

Esistono molti media sociali che permettono la collaborazione online, in modalità simili ma con qualche differenza:
– le reti sociali, come Facebook, Google+, Linkedin e molti altri, sono dei siti web che mettono in comunicazione i propri utenti a scopi ricreativi o professionali
– i wiki, come Wikipedia, sono dei siti web che producono conoscenza in modo collaborativo grazie ai propri utenti
– i forum e gruppi di discussione, sono dei siti web che permettono agli utenti di porre domande e dare risposte gli uni gli altri; vengono utilizzati molto da gruppi di utenti di prodotti, spesso legati al mondo dell'informatica ma non solo
– i blog, sono dei siti web in cui l'autore (blogger) scrive in modo regolare articoli generalmente tematici, che possono essere commentati dai lettori. Sono molto diffusi i blog di viaggi, quelli letterari e recentemente i blog di carattere politico
– i microblog, come Twitter, sono caratterizzati dalla lunghezza (o meglio, dalla brevità) dei messaggi normalmente entro i 140 caratteri. Hanno alcune caratteristiche che li fanno assomigliore ai blog, come la diffusione di informazioni, soprattutto di carattere politico, ed altre che li fanno assomigliare alle reti sociali (contatti tra utenti)
– le Comunità di condivisione dei contenuti sono dei siti web i cui gli utenti condividono un interesse specifico. Molto diffuse sono le comunità che condividono interesse per la fotografia, come Flickr o Picasa. Sono diffuse anche le comunità di videogiocatori.

L'apprendimento online è diventato in questi ultimi anni uno strumento di grande importanza nella formazione, soprattutto per la formazione universitaria e post universitaria, e per l'aggiornamento professionale, ma anche e sempre di più nella formazione scolastica dove si affianca all'insegnamento tradizionale in presenza, come
dimostrano le recenti esperienze anche in Italia con le classi 2.0 e con il progetto Generazione Web.
Esistono differenti ambienti di apprendimento online, per esempio un VLE è una piattaforma che mette a disposizione dei contenuti, degli strumenti di comunicazione, come la posta elettronica, la chat o la videoconferenza, e degli strumenti di collaborazione online come il forum, il wiki ed altro ancora.
Un LMS è un'applicazione generalmente basata sul web, come per esempio Moodle, che fornisce gli strumenti per amministrare corsi online.

In un ambiente di apprendimento online sono presenti alcune funzioni necessarie, come:
– il calendario, che permette di segnalare le date e gli orari degli eventi previsti, per esempio una videoconferenza o un incontro in chat
– la bacheca, nella quale inserire gli avvisi per gli studenti e le classi, o i corsisti
– la chat, che permette di comunicare in via testuale in tempo reale tra studenti o corsisti e tra docente e studenti o corsisti
– le registrazioni delle valutazioni, comunemente chiamata portfolio, in cui il docente annota i risultati dei test e lo studente o corsista può visualizzare il proprio stato o rendimento.

I dispositivi mobili da qualche tempo sono sempre più potenti e versatili e pertanto
permettono di svolgere in mobilità attività che fino a qualche anno fa erano possibili solo con computer fissi o notebook.
Uno smartphone (letteralmente: telefono intelligente) è un dispositivo mobile che da un lato permette di effettuare telefonate ed inviare brevi messaggi di testo (SMS) tramite la rete mobile, e dall'altro di connettersi a internet per utilizzarne tramite apposite
applicazioni i servizi, come la navigazione nel web, la posta elettronica, i media
sociali e così via.
Un tablet (letteralmente: tavoletta) è un dispositivo mobile, leggero e utilizzabile
tenendolo in mano, dotato di uno schermo sensibile al tocco di dimensioni maggiori
rispetto a uno smartphone (generalmente da 7' a 10') e che per questo motivo
semplifica l'utilizzo della maggior parte delle applicazioni. I tablet non permettono di
effettuare chiamate telefoniche ma tipicamente sono connessi a internet o tramite una
connessione wifi; alcuni tablet dispongono anche di un apparato radio 3/4G.

Sia i tablet che gli smartphone sono in pratica dei piccoli computer, dotati di processore, memoria di sistema e di massa, dispositivi di input/output che hanno bisogno di essere fatti interagire da uno strato software, il sistema operativo, che svolge lo stesso ruolo del sistema operativo di un computer.
I sistemi operativi più diffusi su questi dispositivi mobili, anche per il fatto di essere stati precursori, sono iOS di Apple, utilizzato esclusivamente sui dispositivi prodotti dalla casa di Cupertino, e Android di Google, che viene utilizzato così com'è o in parte modificato, da moltissime case produttrici di dispositivi, per esempio
Samsung, Sony e molte altre. Microsoft è partita in ritardo con i sistemi operativi per dispositivi mobili, per cui il ruolo di Windows in questo settore è al momento marginale.

I dispositivi mobili si connettono alla rete e a internet in particolare utilizzando delle tecnologie senza fili, al contrario di quanto avviene generalmente per i computer, che usano tecnologie cablate (ethernet).
Le più diffuse opzioni di connessione sono le seguenti:
– le reti wireless, quasi sempre di tipo Wi-fi, che sono spesso disponibili nelle abitazioni, dove l'accesso a internet avviene generalmente tramite un apparato che comprende un modem, uno switch, per le connessioni cablate, e un access point, per le connessioni wi-fi, nelle aziende ed anche in luoghi pubblici, come biblioteche, scuole o parchi
– le reti di telefonia mobile in standard 3G (di terza generazione) o 4G (di quarta generazione), che servono per la connessione telefonica e dati in mobilità.
Le reti wifi utilizzano differenti standard, che in pratica sono l'uno evoluzione del precedente. Il primo standard era l'802.11b caratterizzato da una velocità massima teorica di 11 mbps, mentre lo standard più recente è l'802.11ac, caratterizzato da una velocità massima teorica di 3 gpbs. Naturalmente queste sono le velocità a
livello di rete locale: la velocità di accesso a internet dipende da quella della connessione a internet (gateway) della rete alla quale ci si connette. Il costo di connessione tramite wifi è a carico del gestore della rete locale, quindi se ci si connette tramite la rete aziendale o pubblica, per l'utente non c'è alcun costo. Se ci si connette tramite la propria rete domestica, il costo è quello della normale connessione ADSL. Normalmente se la connessione a internet è di tipo ADSL, non ci sono limiti né temporali, né di quantità di dati scaricabili.
Le reti mobili di generazione precedente avevano velocità di connessione a internet risibili. Quelle di terza generazione (3G) hanno diversi standard e possono avere una velocità massima teorica fino a circa 42 mbps, mentre quelle di quarta generazione (4G o LTE, Long Term Evolution) hanno velocità massime teoriche fino a 3 gbps. Naturalmente queste velocità sono solo teoriche mentre quelle effettive dipendono da molteplici fattori, come le caratteristiche del dispositivo, la copertura del territorio non del tutto completa, il numero contemporaneo di accessi alla stessa cella. I costi di una connessione tramite rete mobile sono molto diminuiti rispetto a qualche tempo fa, ma sono sempre a carico del singolo utente. Inoltre, sebbene normalmente non ci siano limiti temporali alla connessione, esistono in quasi tutti i piani tariffari limiti molto ristretti nella quantità di dati scaricabili, che normalmente non possono superare 1 o 2 GB al mese.
Per motivi di sicurezza è importante utilizzare alcune misure che riducono la possibilità di furti di identità e perdite di dati quando si utilizzano dispositivi mobili.
– Il PIN (Personal Identification Number) è un codice numerico che va impostato sul dispositivo mobile per impedire ad altre persone di utilizzarlo in caso di furto o smarrimento
– effettuare copie di sicurezza dei dati è fondamentale non solo e non tanto in caso di furto (infatti generalmente i dati vengono conservati nel cloud) quanto in caso di momentanea interruzione della connessione a internet
– la connettività wireless e bluetooth andrebbe attivata solo quando necessario. Infatti, oltre a consumare maggiormente la batteria dei dispositivi, una connessione accesa se non utilizzata mette maggiormente a rischio la sicurezza perchè potrebbe essere presa di mira da malintenzionati per furto di identità o di dati.

Buona parte del successo dei dispositivi mobili dipendono dal fatto che è possibile installare, semplicemente scaricandole gratuitamente o a prezzi esigui da negozi online, moltissime applicazioni dei generi più vari.
Attualmente sui principali market place (iOS e Android) sono presenti centinaia di migliaia di applicazioni che soddisfano praticamente ogni esigenza, dal gioco al lavoro, dal tempo libero agli sport, dalle informazioni alla cultura.
Molte applicazioni permettono di ricevere direttamente sul proprio dispositivo le ultime notizie: è possibile impostare sia gli argomenti che l'intervallo di aggiornamento.
Altre applicazioni permettono di accedere alle reti sociali, come Facebook, Google+ o Twitter, e di gestire i propri contatti.
Sui dispositivi mobili le applicazioni di produttività vengono usate principalmente in casi di emergenza, dato che gli schermi sono piccoli e la tastiera virtuale è meno comoda da usare rispetto a quella tradizionale.
Tuttavia in certi casi è utile poter visualizzare ed eventualmente modificare un documento di testo, un ODF o un foglio di calcolo.
Le mappe sono una delle applicazioni più comode, dato che si parla di dispositivi mobili. Dato che molti dispositivi mobili dispongono anche di GPS integrato, le mappe hanno anche funzionalità di individuazione di percorsi e di navigatore.
Esistono migliaia di giochi per dispositivi mobili, tanto che ultimamente questi apparecchi stanno prendendo il posto delle console di gioco tra quelli preferiti dai videogiocatori, dato che permettono di giocare ovunque, per esempio durante un viaggio o in vacanza.
I dispositivi mobili, soprattutto i tablet ma anche gli smartphone con schermo di grandi dimensioni, permettono anche di leggere libri digitali, per cui esistono applicazioni per leggere ebook.

Al contrario della maggiornanza di applicazioni per computer, che vengono vendute principalmente ancora su
un supporto ottico (CD, DVD), le app per dispositivi mobili vengono distribuite esclusivamente attraverso dei negozi virtuali di applicazioni (app store). Molte di esse sono gratuite, altre sono a pagamento, ma i costi sono molto minori rispetto ai rispettivi programmi per computer.
Ogni sistema operativo ha un app store e i principali sono:
– Google Play, per il sistema operativo Android
– Apple App Store, per il sistema operativo iOS
– Windows Store, per il sistema operativo Windows Phone e Windows 8
– Amazon Appstore, per i dispositivi Amazon Kindle Fire che hanno una versione modificata di Android
– Blackberry World Store , per il sistema operativo Blackberry OS.


Per utilizzare un'applicazione, occorre prima di tutto che l'applicazione sia installata sul dispositivo. Se si tratta di un media sociale, è anche necessario disporre di un account per poterla utilizzare.
Dando per scontato quando detto sopra, per utilizzare un'applicazione di comunicazione audio/video, per esempio Skype, occorre selezionare l'icona dell'applicazione e premerla per avviarla. Fatto ciò, bisogna individuare tra i propri contatti quello con cui si desidera chiamare e verificare se è disponibile, visualizzandone lo stato. Nel caso sia disponibile, per effettuare una chiamata occorre premere il pulsante Chiama, se si desidera effettuare una videochiamata, oppure scrivere un messaggio testuale ed inviarlo.
Per utilizzare un'applicazione di media sociale, per esempio Facebook o Google+, occorre avviare la relativa applicazione ed inserire il nome utente e la password se richiesti (generalmente dopo il primo utilizzo e la relativa configurazione i dati vengono salvati e non server inserirli ad ogni nuovo avvio dell'applicazione). Una volta effettuato l'accesso si possono utilizzarne le funzionalità, per esempio leggere le notifiche, scrivere un post, caricare immagini e così via.
Per utilizzare un'applicazione di mappe, dopo aver avviato l'applicazione occorre digitare nella casella di ricerca il luogo di cui si desidera visualizzare la mappa, e utilizzare eventuali altre funzionalità, per esempio definire un percorso o utilizzare le funzioni di navigatore satellitare se disponibili.


mercoledì 30 settembre 2015

I nuovi profili web secondo le specifiche CEN


Il Gruppo Web Skills Profiles, costituito nel dicembre del 2006 da IWA Italy (la sezione italiana di IWA/HWG associazione internazionale di professionisti del Web riconosciuta come realtà di standardizzazione dal CEN), e al quale partecipano oltre 200 professionisti, rappresentanti di aziende ed associazioni, ha l’obiettivo di definire i profili professionali del Web, progetto considerato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri una innovazione in ambito nazionale da esportare all’estero, citato all’interno del programma nazionale per le competenze digitali dell’Agenzia per l’Italia Digitale.

Il 30 giugno 2014, con aggiornamento al 31 dicembre 2014, l’Associazione IWA Italy, sezione italiana di IWA/HWG ha pubblicato ufficialmente la versione 2.0 del documento contenente i profili professionali operanti nel Web uniformati secondo le direttive CEN in materia di Generation 3 (G3) European ICT Profiles e basati sul modello e-CF 3.0, nonché le modalità di utilizzo dei medesimi.

I profili sono i seguenti:
profili sono i seguenti:
1.Web Community Manager
2.Web Project Manager
3.Web Account Manager
4.User Experience Designer
5.Web Business Analyst
6.Web DB Administrator
7.Search Engine Expert
8.Web Advertising Manager
9.Frontend Web Developer
10.Server Side Web Developer
11.Web Content Specialist
12.Web Server Administrator
13.Information Architect
14.Digital Strategic Planner
15.Web Accessibility Expert
16.Web Security Expert
17.Mobile Application Developer
18.E-commerce Specialist
19.Online Store Manager
20.Reputation Manager
21.Knowledge Manager
22.Augmented Reality Expert
23.E-Learning Specialist
24.Data Scientist
25.Wikipedian


Il documento ha lo scopo di definire i profili professionali europei ICT di terza generazione che siano maggiormente aderenti al settore del Web, basandosi sul documento “European ICT Professional Profiles (CWA 16458)” e sui documenti relativi a “E-Competence Framework 3.0” (EC-F 3.0) estendendoli a livello mondiale grazie alla rete internazionale di IWA/HWG. Il documento ha lo scopo di supportare il corretto riconoscimento delle professionalità elencate come “profili professionali per il Web” da parte degli attori che agiscono sul mercato nel settore degli skill ICT. In particolare, sono indirizzati a:
•manager ICT, offrendo modelli organizzativi di responsabilità, compiti, competenze e controlli tra i diversi attori (ICT e non);
•professionisti e manager ICT, per definire descrizioni delle posizioni, piani di addestramento individuali e prospettive di sviluppo;
•responsabili delle Risorse Umane (HR manager), per prevedere e pianificare il fabbisogno di competenze;
•manager della didattica e dell’addestramento, per pianificare e progettare con efficacia programmi di studi ICT;
•studenti, per facilitare l’informazione ed il loro orientamento professionale;
•responsabili di ricerca di mercato e strategia, per usare un linguaggio comune con lo scopo di prevedere le esigenze di lavoro e competenze professionali Web in una prospettiva di lungo periodo;
•manager degli Uffici Acquisti, fornendo definizioni comuni per capitolati tecnici efficaci nelle gare nazionali ed internazionali;
•chiunque altro necessiti di un riferimento riconosciuto e accettato nell’ambito dei profili professionali per il Web per la sua professione, la sua azienda, la sua organizzazione.

mercoledì 16 settembre 2015

Le nuove professioni umanistico - digitali (II parte) - Web content manager e dintorni

Ancora nessuno ha osato proporre una teoria simile alla legge di Moore per il lavoro, eppure è curioso come in epoca digitale ogni cinque o sei anni emergano almeno una decina di nuove professioni, prima sconosciute, che surclassano le precedenti e centrate su nuove competenze e nuovi ruoli operativi. Nei primi anni Duemila è stata la volta dei Web designer, degli esperti di marketing online o dei programmatori Php. Oggi la rivoluzione dei mestieri digitali continua, sempre seguendo la tradizione anglofona nel definire le nuove professioni, ma aggiunge un pizzico d'indipendenza al lavoro, un po' di salsa social al piatto e più di una sorpresa in materia di compensi e retribuzioni.
In primis il Web Content Manager è una figura professionale che si occupa della progettazione dei contenuti di siti internet; se nei primi tempi della diffusione della rete questa professione era integrata in quella del webmaster e legata alla conoscenza dei linguaggi di programmazione del Web per permettere l’inserimento di contenuti interattivi (link, video, ecc), oggi è divenuta una figura ben definita che progetta il sito nei contenuti e non si occupa dell'aspetto tecnico di programmazione e della realizzazione grafica.

Tecnicamente è quella figura professionale, presente in molte web agency o nelle grandi aziende che gestiscono in proprio il sito web, che progetta i contenuti del sito passando poi le istruzioni al webdesign e al webmaster. Una figura professionale attuale che in genere ha un'ampia conoscenza del mezzo internet dal punto di vista tecnico, esperta di immagine e della tecnica di scrittura dei testi per il web e dotata di una buona dose di creatività.
Si va dal social media manager al data scientist, dallo storyteller al digital strategist, dal Seo/Sem specialist allo sviluppatore di App, dal content curator al Web designer per siti responsive. In termini assoluti le loro richieste non superano certamente le professioni più classiche che dominano il mercato del lavoro IT e che sono oggi - secondo alcune ricerche sul mercato italiano - principalmente legate al ruolo di programmatore Java o .Net, analista funzionale Sap, esperto Oracle, sistemista Linux, direttore dei sistemi informativi o responsabile della sicurezza IT. Sono, però, figure emergenti. Operano ai margini di funzioni come il marketing, la comunicazione o l'IT e stanno gradualmente guadagnando consensi e un ruolo interno nell'organigramma aziendale.

È il caso del digital strategist, che può anche assumere una posizione di vertice come dirigente con il titolo di Digital Information Officer. È una figura di tendenza e ricercatissima nel mondo dell'executive search, considerata una via di mezzo tra un responsabile delle Operations e un Cio. Guida i processi di migrazione d'impresa verso il mondo delle tecnologie digitali e verso una cultura aziendale e strumenti "2.0" per la produzione, distribuzione e vendita di prodotti e servizi. È ben remunerato, così come è ben pagato lo sviluppatore di app, primo e più ricercato esperto, invece, nel segmento del mobile, attesta Linkedin. L'app developer lavora spesso in maniera indipendente (affiancato talvolta da un esperto di database), arrivando a guadagnare cifre da capogiro. Con un'app di successo, per esempio nel mondo del gaming, può mettersi in tasca anche qualche milione di euro in tempi rapidissimi. Il fatto curioso è che si tratta quasi sempre di figure molto giovani, under 30, senza grande esperienza di lavoro in azienda e una formazione autonoma. Le imprese li cercano, considerandoli spesso più talentuosi guru degli smartphone da impiegare a termine che programmatori da immettere in un ciclo continuo di produzione.

Più orientati verso il mondo aziendale, invece, sono i community manager, i social media manager e gli storyteller. Fanno tutti parte di una medesima famiglia professionale, ma con sfumature diverse a seconda delle competenze. Di estrazione quasi sempre umanistica, si occupano di guidare comunità in aree Web o sulle intranet aziendali, oppure di comunicare verso l'esterno attraverso i social media, pagine Facebook aziendali o Twitter. Mentre per i manager di comunità e di social media esiste una certa continuità e un legame storico con il marketing e la comunicazione, per lo storyteller è diverso. È una figura nuova, più vicina al copywriter o al pubblicitario. Viene impiegato in attività di branding online e gestione della comunicazione di eventi. Traccia percorsi di comunicazione, raccoglie e rielabora tendenze e contenuti sulla base di canali social. Talvolta si sovrappone e affianca il curatore di contenuti (Web content manager), figura meno esposta sui social e più sul fronte classico dei blog e siti aziendali.

Altre figure emergenti, infine, sono quelle degli esperti Seo e i data scientist. Entrambe trattano numeri. I primi perché devono farli lievitare sui siti dei propri clienti: grazie a tecniche di ottimizzazione per i motori di ricerca e campagne di marketing ad hoc catturano i visitatori aumentando l'effetto attrattivo di un brand, di un sito o di un'iniziativa basata su Internet. Il secondo, tra i più ricercati in rete, è invece un "matematico dell'informatica". Analizza le informazioni provenienti dalla rete o da altre fonti e trova correlazioni e modelli d'interpretazione dei dati per assistere il business e suggerire nuove linee di sviluppo. È richiesto nel mondo della finanza e delle Tlc, in quello del gaming e nel segmento dell'e-commerce. Ha un background universitario, ama giocare con database e linguaggi di programmazione e viene considerata la figura chiave del futuro, quando per fare business sarà sempre più necessario districarsi tra i big data.


mercoledì 2 settembre 2015

Le nuove professioni umanistico-digitali (I parte): l' E- Reputation Manager

Non solo ingegneri nel mondo del lavoro sul web. Reputation Manager, Global Content Manager, web skills profiler: sono tante le nuove professioni digitali che non sono appannaggio esclusivo dei tecnici o degli informatici. Anzi, spesso le competenze più richieste hanno a che fare con una preparazione umanistica visto che chi si occupa di web e aziende, soprattutto su scala mondiale, deve conoscere e comprendere le diverse sensibilità, paese per paese.

Come spesso avviene per le professioni legate all’ambito digitale, risulta complicato definire i confini di un profilo rispetto a un altro, considerando quanto sono interconnessi e in certi casi sovrapponibili tra loro. Così anche quello dell’E-reputation Manager risulta un ruolo piuttosto variabile per funzioni attribuite, a seconda della realtà entro cui è inserita la figura.

In linea di massima è definibile come un ibrido fra un analista e un addetto alle pubbliche relazioni: da una parte deve conoscere le dinamiche sociologiche e antropologiche al fine di analizzare la situazione, dall’altra le dinamiche relazionali e comunicative in modo da intervenire per gestire la conversazione.
L’E-reputation Manager è la figura che si occupa di monitorare ed estrarre dall'universo online le conversazioni rilevanti sulla base di una lista di parole chiave, le analizza per individuare i trend, gli influencer (soggetti coinvolti nella conversazione che detengono un potere sociale più importante degli altri, influenzandoli) e le crisi (conversazioni critiche sul prodotto o sul brand, fondate o meno) e interpreta i dati per offrire spunti strategici all’azienda.

Le metodologie che l’E-Reputation Manager è chiamato a mettere in campo per svolgere il proprio mestiere sono diverse, ma tutte possono essere accomunate in questa procedura:

- il crawling, l'estrazione delle conversazioni che presentano specifiche keyword predefinite (es. il brand);

- l'indexing, cioè l'indicizzazione delle conversazioni in un archivio (database) che è possibile interrogare;

- data mining, tutte quelle operazioni sul database finalizzate all'aggregazione/disaggregazione dei dati in funzione di parametri definiti (es. tempo, area geografica, persone coinvolte nella conversazione, tipologia di sito web, ecc.);

- l'analisi/interpretazione umana;

- definizione di un'azione sulla base della conoscenza acquisita nelle precedenti fasi.

Riassumendo, l’E-reputation Manager agisce per monitorare le conversazioni in rete, analizzarle e interpretarle, agire per influenzarle.

Non esiste un percorso formativo specifico, i professionisti possono arrivare da studi in comunicazione o marketing, sociologia, antropologia, filosofia. La formazione universitaria in questo ambito specifico non offre ancora corsi ben definiti quindi la via migliore resta comunque una formazione verticale - per esempio un master - coniugata a uno stage presso una delle realtà più solide del mercato dove è possibile apprendere concretamente il mestiere.

Fra le competenze che possono fare la differenza in questa professione sono quelle connesse a studi etnografici, l'utilizzo di software di network analysis e data visualization, nozioni di statistica, conoscenze sulle API (Application Program Interface) e dei principali Social Network (come Twitter o Facebook), oltre a una capacità di analisi degli usi linguistici e semantici del web.
Solitamente è una figura collocata all’interno in un’agenzia specializzata nell'analisi delle conversazioni online oppure in una Social Media Agency in cui l'aspetto strategico e operativo è frutto di un' approfondita fase analitica delle conversazioni.

In ambito strategico l’E-reputation Manager lavora a stretto contatto con il Digital Pr e il Community Manager occupandosi di analisi, interpretazione, reportistica e consulenza all’azione strategica in ambito web reputation.

venerdì 3 luglio 2015

Il nuovo DURC è online

Operativa la riforma del DURC. Dal primo luglio 2015, infatti, le imprese possono chiedere il rilascio immediato del documento unico di regolarità contributiva, se in regola con il pagamento dei contributi. Per la verifica in tempo reale sarà sufficiente un’unica interrogazione negli archivi dell’INPS, dell’INAIL e delle Casse Edili, indicando esclusivamente il codice fiscale del soggetto da verificare. Numerosi i vantaggi per i datori di lavoro e per la Pubblica amministrazione. Nel Dossier di IPSOA Quotidiano gli approfondimenti sulla nuova procedura e le istruzioni operative.

La rivoluzione, nata dalle sinergie messe in atto tra Ministero del Lavoro, INPS, INAIL e Casse edili, è il frutto di un percorso lungo circa un anno, partito dalla previsione contenuta nel primo decreto del Jobs Act (Dl 34/2014), che necessitava però del suo decreto attuativo.

Le imprese regolari possono ottenere il DURC in tempo reale, collegandosi al servizio online messo a disposizione da INPS, INAIL e Casse edili. Sarà sufficiente una interrogazione negli archivi degli Istituti con l’indicazione del codice fiscale del soggetto da verificare per ottenere il rilascio immediato del DURC in formato pdf.

In caso di irregolarità si attiverà la verifica da parte degli Enti e ne sarà data notizia al datore di lavoro perché provveda a sanarla. Mantenuta la possibilità di regolarizzazione entro 15 giorni, mentre l’invito alla regolarizzazione verrà effettuato entro 72 ore.

Il nuovo DURC ha validità di 120 giorni dalla data effettuazione della verifica. Previste, però, in via transitoria e comunque non oltre il 1° gennaio 2017, una serie di casi di esclusione per i quali conseguentemente il DURC resta assoggettato alle previgenti modalità di rilascio

Numerosi i vantaggi per imprese e professionisti, con un risparmio importante anche per le Amministrazioni ed i soggetti tenuti al rilascio.

Maggiori informazioni:

Procedura Operativa DURC online

martedì 23 giugno 2015

Economia e condivisione della conoscenza

Lo studio della conoscenza è uno degli elementi più profondi e sfuggenti della storia, che economisti, sociologi e psicologi cognitivi hanno in passato affrontato sotto ogni aspetto, senza peraltro pervenire a risultati accettati da tutti.
La stessa Penrose nel testo “La teoria dell’espansione dell’impresa” cita: “… E’ chiaro che gli economisti hanno sempre riconosciuto il ruolo dominante della conoscenza nei processi economici, tuttavia nella maggior parte dei casi hanno ritenuto che il tema fosse troppo scivoloso per essere affrontato e non sono giunti pertanto a risposte significative ed univoche”.
Per molti anni, infatti, il legame tra economia e conoscenza è rimasto praticamente assente dalla teoria economica: la conoscenza era una risorsa del tutto invisibile; esistente ed importante certo, ma non analizzabile in modo concreto, per le sue proprietà specifiche di mutevolezza e dinamicità.
Da qualche tempo però le cose sono cambiate. Impercettibilmente, ma progressivamente, l’economia dei nostri giorni sta diventando un’economia cognitiva: da ogni luogo ci viene annunciato che stiamo entrando a far parte di quella che viene definita knowledge era. Un’era nuova, nuovissima, destinata a durare a lungo e a cambiare il mondo, cominciando proprio dal modo di funzionare della stessa economia.
La conoscenza è infatti diventata, nell’immaginario collettivo dei nostri giorni, il deus ex machina del capitalismo contemporaneo, capace di fornire alla stesso idee, soluzioni e linguaggi per innovare in profondità i processi produttivi e di consumo.
Al contempo, però, anche il contributo del mondo economico è stato significativo: esso ha corredato la risorsa- conoscenza dei mezzi necessari a far avanzare la frontiera del sapere in campi sempre più vasti e impegnativi.
Questa forte sinergia e la continua e crescente interdipendenza tra economia e conoscenza conducono necessariamente a considerare quest’ultima come un fattore chiave, come un elemento indispensabile a cui si ricorre per spiegare le differenze tra imprese, tra regioni e tra paesi; il volano che ogni anno alimenta la crescita del prodotto e della produttività, proponendo nuove tecniche, nuove soluzioni e nuovi bisogni. A getto continuo. L’era del lavoro e della proprietà sta finendo e con essa è la società industriale creata dalla rivoluzione delle macchine e del capitale, ad uscire progressivamente dall’orizzonte della contemporaneità. Le forze tradizionali non sono più il motore della crescita economica e delle attività che generano valore. Questo grande cambiamento, già avviatosi da qualche tempo, sembra doversi consolidare nei prossimi anni, divenendo anzi processo inevitabile e fulcro del futuro funzionamento dei sistemi economici. Ed è proprio da tale consapevolezza che parte la necessità di gestire e di coordinare le forze che si manifestano all’interno di questo complesso fenomeno in corso: occorre dotarsi di nuovi strumenti che sappiano far fronte ed amministrare una risorsa sui generis che è, appunto, quella della conoscenza; trasformare le organizzazioni in organizzazioni che apprendono, gestire in modo adeguato una nuova categoria di lavoratori. Si tratta, in definitiva, di predisporre un idoneo sistema di knowledge management che possa conferire alle imprese tutti i vantaggi che derivano da pratiche di condivisione della conoscenza. Nel 2008, sostiene il Gartner Group, tre quarti degli aumenti di produttività delle imprese saranno realizzati grazie al knowledge management e grazie ad altri miglioramenti nel lavoro basato sulla conoscenza.
Non si tratta, però, di una tendenza che può essere data per scontato, né tanto meno di un fenomeno di facile gestione: la convergenza tra due mondi che continuano ad essere tenacemente disallineati richiede competenze e capacità del tutto nuove, che occorre saper creare e “coltivare” per procedere con successo nella attività d’impresa. Il knowledge management, più che una disciplina, si configura pertanto come un modo nuovo, ma obbligato, di vedere la trama e i significati sottostanti la produzione di valore nella società contemporanea. Per utilizzare una metafora, che lo stesso Carlo Sorge ha addotto in una conferenza da lui tenuta nel 2005: “Il knowledge management è una nuova e particolare “panoramica” sul mondo esistente, che ci consente di leggere con occhi inediti e critici la realtà che si sta delineando (Canevacci, 1995), una realtà nuova, all’interno della quale le regole di riferimento sono costituite dalla globalizzazione, dall’information technology, dalla smaterializzazione del valore d’impresa”.
Impossibile non essere d’accordo con le parole di Sorge: anche il mondo accademico si sta muovendo in questa direzione. In coerenza con l’ormai consolidata resource based view si assiste alla nascita di una vera e propria fabbrica dell’immateriale (Rullani, 2005): di una fabbrica dove agli aggettivi di concreto e reale si è appoggiato quello di intangibile, dove all’attenzione al concetto di costo e di prezzo si è affiancato quello di conoscenza e di informazione.

martedì 9 giugno 2015

Nasce il primo asilo a distanza. L'educazione può essere virtuale?

Perché mandare vostro figlio all'asilo quando potete tenerlo a casa e utilizzarne uno virtuale? E' l'dea lanciata da un'azienda che si occupa di educazione e che ha base in Canada, Stati Uniti e Cina: il progetto consiste nell'offrire materiali didattici a pagamento e la consulenza di educatori a distanza per i genitori che vogliono tenere i figli in casa. La società Vinci Education ha realizzato un pacchetto digitale per bimbi fino a 5 anni accessibile via pc, smartphone o tablet e dal costo che varia dai 70 ai 570 euro all'anno.
L'idea, però, ha fatto molto discutere negli Stati Uniti ed è stata bocciata dagli esperti, consultati da una delle più importanti pubblicazioni statunitensi in tema educativo, cioè Education Week. Secondo i pedagogisti è utile per i genitori avere materiali a disposizione per seguire al formazione e lo sviluppo dei loro figli, ma in questo modo i bambini non cominciano a socializzare, a confrontarsi e a condividere.
Vinci Education ha applicato ai bambini fino ai 5 anni la stessa formula dei corsi universitari a distanza aperti a tutti (i cosiddetti Mooc) ma facendoli pagare.Materiali digitali tagliati su misura per bimbi in età d’asilo, guide alle attività di gioco e «maestri nell’aula di casa», il tutto naturalmente accessibile via pc, smartphone o tablet. I pacchetti possono includere il supporto a distanza di un insegnante che segue i bambini individualmente, ed eventualmente fa consulenza anche ai genitori, che possono seguire online i progressi dei loro pargoli.

L’offerta, che s’ispira – dicono – alla didattica Montessori, si divide in quella per bambini dai 13 mesi ai 3 anni d’età, e in quella per bambini dai 4 anni in su. La prima vuole accompagnare le esperienze sensoriali e pratiche dei piccoli con un piano settimanale di lezioni ed attività suggerite, affinché i genitori possano interagire col bambino nel modo più appropriato (in particolare, almeno mezz’ora alla settimana in attività insieme, e lettura quotidiana di un libro). I giochi didattici digitali sono mezz’ora la settimana (ma va notato che l’Accademia americana dei pediatri e la Task Force della Casa Bianca sull’obesità infantile raccomandano che il tempo che i bambini sotto i 2 anni passano davanti a un monitor sia rigorosamente questo: zero). Per i più grandicelli, è prevista una preparazione alla scuola con un curriculum più strutturato, basato comunque sull’imparare giocando.

Pensato per i genitori che vogliono tenere i bimbi in casa, l’asilo virtuale fa molto discutere . Gli esperti consultati da Education Week, importante pubblicazione statunitense sui temi educativi, hanno subito storto il naso. «La mia prima reazione è stata di preoccupazione» ha dichiarato Kyle Snow, direttore della ricerca presso la National Association for the Education of Young Children, che si occupa dell’educazione e dello sviluppo dei bambini fino agli 8 anni. In generale, c’è consapevolezza riguardo al bisogno di materiali di qualità per aiutare i genitori a seguire la formazione e lo sviluppo dei piccoli. Anche avere il supporto a distanza di un professionista, se le sue credenziali sono davvero valide, può essere una buona cosa. Ma i dubbi su quest’offerta specifica sono tanti, e motivati. E poi l’asilo non è il luogo accogliente dove iniziare a socializzare, confrontarsi e condividere?

giovedì 4 giugno 2015

Tecnologie per l'integrazione a scuola

L’integrazione dei disabili si configura come un tema di grande attualità: quotidianamente se ne discute ovunque, con riferimento al mondo del lavoro, dello sport, ma soprattutto in ambito scolastico poiché è da lì che dovrebbe iniziare il cammino del bambino diversamente abile, verso una progressiva autonomia di pensiero, di azione e, più globalmente, di vita.
Attualmente l’ impiego delle tecnologie didattiche nelle scuole italiane, in un quadro di rinnovata sensibilità fattiva di fronte ai problemi di inserimento dei disabili a scuola, ha suscitato nuove riflessioni, idee, ha creato nuove aspettative, ha offerto qualche speranza nuova in più, ma soprattutto consente di guardare con rinnovato ottimismo al rapporto didattica- disabilità.
Periferiche hardware sempre più perfezionate e adattive hanno risolto il problema dell’accesso all’elaboratore per molte categorie di disabili, software sempre più sofisticati e “intelligenti” sono a disposizione dei docenti che vogliano usarli per venire incontro a bisogni o difficoltà specifiche dei propri alunni.
I tempi sono maturi per affermare quanto l’uso del computer può validamente supportare l’apprendimento migliorandone l’efficacia, principalmente se si fa riferimento a strumenti ed ausili tecnologici in grado di cambiare radicalmente la qualità e i livelli di apprendimento.
Esempio significativo di come lo strumento informatico possa addirittura aprire possibilità prima precluse è il fatto che oggi anche il disabile motorio può scrivere utilizzando un computer corredato di opportune periferiche, oppure un cieco può accedere alla lettura di testi grazie all’uso della sintesi vocale.
Il settore della scuola, di rilevanza cruciale, ha contribuito validamente alla diffusione delle idee di autonomia, autosufficienza, parità di diritti del disabile, fornendo grande impulso non solo alle idee ma anche alle soluzioni operative.
L’idea di integrazione scolastica del disabile, di cui l’Italia si è fatta pioniera fin dagli anni ’70, ha nel tempo acquistato sempre più forza e si è andata configurando sotto duedistinte prospettive:

integrazione sociale:attraverso cui il soggetto siinserisce a pieno diritto nel gruppo, sentendosi parte integrante della comunità in cui vive;
integrazione formativa: che consente al disabile di sfruttare appieno il proprio potenziale intellettivo per ampliare le proprie conoscenze, incrementare competenze, acquisire e/o migliorare operatività specifiche.
Proprio dal punto di vista dell’integrazione formativa può entrare in gioco in maniera funzionale l’impiego degli strumenti tecnologici, la cui funzione risulta essere duplice: abilitante o riabilitante.
Usare il computer con una funzione abilitante, vuol dire mettere il disabile in condizione di svolgere attività altrimenti precluse (riprendendo l’esempio di prima, scrivere per i disabili motori gravi); molto più sfaccettata è la situazione che emerge quando si guarda al computer come strumento riabilitante, quando cioè si intende farne un uso eminentemente rieducativo, come supporto alla didattica tradizionale per:

- migliorarne l’efficacia,
- stimolare/potenziare processi cognitivi,
- promuovere l’acquisizione di capacità operative in alcuni settori,
- superare delle difficoltà di apprendimento legate a problemi di comprensione, elaborazione e strutturazione delle informazioni e delle conoscenze.

Tuttavia, in entrambi i casi, l’uso dello strumento tecnologico, consente un elevato grado di individualizzazione degli interventi formativi, altrimenti impensabile.
Come afferma M. Ott, permette di reinventare situazioni di apprendimento individuale, cooperativo o collaborativo in cui l’attività degli studenti è diversificata, ma con metodi, strumenti, ritmi diversi, si muove su binari distinti ma paralleli, nella stessa direzione.
E’ dunque estremamente importante riuscire a sfruttare le potenzialità di individualizzazione offerte dalla tecnologia per fare nuovi passi in avanti verso un’integrazione reale, per dare un nuovo impulso alle strategie di adeguamento di competenze, di miglioramento ed acquisizione di nuove capacità per i soggetti con difficoltà.

mercoledì 20 maggio 2015

Il nuovo 730 precompilato

Dal 15 aprile 2015, in via sperimentale, l'Agenzia delle Entrate ha messoa disposizione dei titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati, il modello 730 precompilato. Modello che può essere accettato o modificato.
Il vantaggio fondamentale per il contribuente (oltre a quello relativo all’ulteriore semplificazione nella compilazione del modello) è legato ai controlli. Infatti, se il 730 precompilato viene presentato senza effettuare modifiche, direttamente oppure al sostituto d’imposta, non saranno effettuati i controlli documentali sulle spese comunicate all’Agenzia dai soggetti che erogano mutui fondiari e agrari, dalle imprese di assicurazione e dagli enti previdenziali (interessi passivi, premi assicurativi e contributi previdenziali). Se il 730 precompilato viene presentato, con o senza modifiche, al Caf o al professionista abilitato, i controlli documentali saranno effettuati nei confronti di questi ultimi.
Resta ferma la possibilità di presentare la dichiarazione dei redditi autonomamente compilata con le modalità ordinarie (730 ordinario o modello Unico PF).
Il modello 730/2015 precompilato interesserà i lavoratori dipendenti e ai pensionati che hanno presentato il modello 730/2014 per i redditi dell’anno 2013 e, inoltre, hanno ricevuto dal sostituto d’imposta la Certificazione Unica 2015 (che da quest’anno sostituisce il CUD) con le informazioni relative ai redditi di lavoro dipendente e assimilati e/o ai redditi di pensione percepiti nell’anno 2014.
La dichiarazione precompilata viene predisposta anche per i contribuenti, in possesso della Certificazione Unica 2015, che per l’anno 2013 hanno presentato il modello Unico Persone fisiche 2014 pur avendo i requisiti per presentare il modello 730, oppure hanno presentato, oltre al modello 730, anche i quadri RM, RT e RW del modello Unico Persone fisiche 2014.
La dichiarazione precompilata non viene predisposta se, con riferimento all’anno d’imposta precedente, il contribuente ha presentato dichiarazioni correttive nei termini o integrative per le quali, al momento della elaborazione della dichiarazione precompilata, è ancora in corso l’attività di liquidazione automatizzata.
Per la predisposizione del modello 730 precompilato l’Agenzia delle Entrate utilizza:
- i dati contenuti nella Certificazione Unica, che da quest’anno viene inviata all’Agenzia delle Entrate dai sostituti d’imposta
- i dati relativi agli interessi passivi sui mutui, ai premi assicurativi e ai contributi previdenziali, che vengono comunicati all’Agenzia delle Entrate dai soggetti che erogano mutui agrari e fondiari, dalle imprese di assicurazione e dagli enti previdenziali
- alcuni dati contenuti nella dichiarazione dei redditi dell’anno precedente (ad esempio gli oneri che danno diritto a una detrazione da ripartire in più rate annuali, come le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio, i crediti d’imposta e le eccedenze riportabili)
- gli altri dati presenti nell’Anagrafe tributaria (ad esempio i versamenti effettuati con il modello F24 e i contributi versati per lavoratori domestici).
Il modello 730 precompilato è stato messo a disposizione del contribuente, a partire dal 15 aprile 2015, in un’apposita sezione del sito internet dell’Agenzia delle Entrate. Per accedere a questa sezione è necessario essere in possesso del codice Pin.
Nella sezione del sito internet dedicata al 730 precompilato è possibile visualizzare:
- il modello 730 precompilato
- l’esito della liquidazione (il rimborso che sarà erogato dal sostituto d’imposta e/o - le somme che saranno trattenute in busta paga)
i- l modello 730-3 con il dettaglio dei risultati della liquidazione
un prospetto con l’indicazione sintetica dei redditi e delle spese presenti nel 730 precompilato e delle principali fonti utilizzate per l’elaborazione della dichiarazione (per esempio i dati del sostituto che ha inviato la Certificazione Unica oppure i dati della banca che ha comunicato gli interessi passivi sul mutuo.

Il 730 precompilato può essere presentato direttamente oppure tramite sostituto d’imposta, Caf o professionista abilitato.

Presentazione diretta
Il contribuente che intende presentare il 730 precompilato direttamente tramite il sito internet dell’Agenzia delle Entrate deve indicare i dati del sostituto d’imposta che effettuerà il conguaglio e compilare la scheda per la scelta della destinazione dell’8, del 5 e del 2 per mille dell’Irpef, anche se non esprime alcuna scelta. Occorre poi verificare la correttezza e la completezza dei dati già indicati.
A questo punto, se non c'è bisogno di alcuna correzione o integrazione, il contribuente può accettare il 730 senza modifiche.
Se, invece, alcuni dati del 730 precompilato risultano non corretti o incompleti, il contribuente deve modificare o integrare il modello 730 (per esempio, aggiungendo un reddito oppure degli oneri – come le spese mediche - non presenti. In questo caso, sarà elaborato e messo a disposizione un nuovo 730 e un nuovo modello 730-3 (con i risultati della liquidazione effettuata in seguito alle modifiche operate). Una volta accettato o modificato, il modello 730 precompilato può essere presentato.
Dopo la presentazione, nella stessa sezione del sito internet, viene messa a disposizione del contribuente la ricevuta di avvenuta presentazione.

Presentazione tramite sostituto d’imposta, Caf o professionista abilitato
In alternativa alla presentazione diretta tramite il sito internet, il modello 730 precompilato può essere presentato al proprio sostituto d’imposta (datore di lavoro o ente pensionistico), se quest’ultimo ha comunicato entro il 15 gennaio di prestare assistenza fiscale, oppure a un Caf-dipendenti o a un professionista abilitato (consulente del lavoro, dottore commercialista, ragioniere o perito commerciale). Il contribuente deve consegnare al sostituto d’imposta, al Caf o al professionista un’apposita delega per l’accesso al proprio modello 730 precompilato.
Chi presenta la dichiarazione al proprio sostituto d’imposta deve consegnare, oltre alla delega per l’accesso al modello 730 precompilato, il modello 730-1 in busta chiusa. Il modello riporta la scelta per destinare l’8, il 5 e il 2 per mille dell’Irpef. Può anche essere utilizzata una normale busta di corrispondenza indicando “Scelta per la destinazione dell’otto, del cinque e del due per mille dell’Irpef”, il cognome, il nome e il codice fiscale del dichiarante. Il contribuente deve consegnare la scheda anche se non esprime alcuna scelta, indicando il codice fiscale e i dati anagrafici. In caso di dichiarazione in forma congiunta le schede per destinare l’8, il 5 e il 2 per mille dell’Irpef sono inserite dai coniugi in due distinte buste. Su ciascuna busta vanno riportati i dati del coniuge che esprime la scelta.
Prima dell’invio della dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, e comunque entro il 7 luglio, il sostituto d’imposta consegna al contribuente una copia della dichiarazione elaborata e il prospetto di liquidazione, modello 730-3, con l’indicazione del rimborso che sarà erogato e delle somme che saranno trattenute.
Chi si rivolge a un Caf o a un professionista abilitato deve consegnare oltre alla delega per l’accesso al modello 730 precompilato, il modello 730-1 in busta chiusa. Il modello riporta la scelta per destinare l’8, il 5 e il 2 per mille dell’Irpef. Il contribuente deve consegnare la scheda anche se non esprime alcuna scelta, indicando il codice fiscale e i dati anagrafici. Il contribuente deve sempre esibire al Caf o al professionista abilitato la documentazione necessaria per verificare la conformità dei dati riportati nella dichiarazione. Il contribuente conserva la documentazione in originale, mentre il Caf o il professionista ne conserva copia che può essere trasmessa, su richiesta, all’Agenzia delle Entrate. I documenti relativi alla dichiarazione di quest’anno vanno conservati fino al 31 dicembre 2019, termine entro il quale l’amministrazione fiscale può richiederli. Prima dell’invio della dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, e comunque entro il 7 luglio, il Caf o il professionista consegna al contribuente una copia della dichiarazione e il prospetto di liquidazione, modello 730-3, elaborati sulla base dei dati e dei documenti presentati dal contribuente. Nel prospetto di liquidazione sono evidenziate le eventuali variazioni intervenute a seguito dei controlli effettuati dal Caf o dal professionista e sono indicati i rimborsi che saranno erogati dal sostituto d’imposta e le somme che saranno trattenute.

Il 730 precompilato deve essere presentato entro il 7 luglio, sia nel caso di presentazione diretta all’Agenzia delle Entrate, sia nel caso di presentazione al sostituto d’imposta oppure al Caf o al professionista. I termini che scadono di sabato o in un giorno festivo sono prorogati al primo giorno feriale successivo.
Se il 730 precompilato viene presentato senza effettuare modifiche direttamente tramite il sito internet dell’Agenzia oppure al sostituto d’imposta, non saranno effettuati i controlli documentali sugli oneri detraibili e deducibili (interessi passivi, premi assicurativi e contributi previdenziali) che sono stati comunicati dai soggetti che erogano mutui fondiari e agrari, dalle imprese di assicurazione e dagli enti previdenziali. La dichiarazione precompilata si considera accettata anche se il contribuente effettua delle modifiche che non incidono sul calcolo del reddito complessivo o dell’imposta (ad esempio se vengono variati i dati della residenza anagrafica senza modificare il comune del domicilio fiscale).
Se il 730 precompilato viene presentato, con o senza modifiche, al Caf o al professionista abilitato, i controlli documentali saranno effettuati nei confronti del Caf o del professionista anche sugli oneri comunicati dai soggetti che erogano mutui fondiari e agrari, dalle imprese di assicurazione e dagli enti previdenziali. L’Agenzia delle Entrate potrà comunque richiedere al contribuente la documentazione necessaria per verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi per fruire di queste agevolazioni. Ad esempio potrà essere controllata l’effettiva destinazione dell’immobile ad abitazione principale entro un anno dall’acquisto, nel caso di detrazione degli interessi passivi sul mutuo ipotecario per l’acquisto dell’abitazione principale.
Se il 730 precompilato è stato presentato senza modifiche, direttamente dal contribuente o tramite il sostituto d’imposta, non vengono effettuati i controlli preventivi previsti per i casi di rimborso sopra i 4.000 euro.

Maggiori informazioni:
http://www.agenziaentrate.gov.it

martedì 12 maggio 2015

Government 2.0 & Wikipedia

Il progetto CongressEdits nasce nel giugno 2014 da una idea di Tom Scoot: Pubblicare tutte le modifiche anonime a pagine Wikipedia fatte dal Parlamento Inglese. Sviluppato poi da Ed Summers, con una comunità di collaboratori, oggi conta oltre 70 governi e parlamenti monitorati. Ha ricevuto non solo l'attenzione dei media e della stampa internazionale ma anche di Wikipedia: da diversi mesi Wikitools ne ospita alcune istanze, specie per i Paesi soggetti alla censura, e seguite direttamente dai collaboratori del progetto.
Chiunque può modificare Wikipedia, l'enciclopedia libera online, anche anonimamente. Ma che cosa succede quando a farlo non sono i comuni cittadini ma i governi e le reti istituzionali?
Il progetto @ItaGovEdits, parte di @CongressEdits ed altre iniziative open source, è nato proprio per documentare e studiare questo fenomeno, pubblicando in tempo reale su Twitter tutte le modifiche anonime di Wikipedia fatte dai parlamenti e dai governi, e studiando come l'anonimato venga usato dalle istituzioni.

I media hanno dato risalto alle vicende relative alle modifiche fatte dal Congresso americano (in relazione alle torture della CIA) ed alle modifiche dal Parlamento russo (sulle vicende del discusso abbattimento dell'aereo civile in Ucraina). In Italia, a parte le incomprensioni di alcuni Parlamentari e Senatori, è stato descritto su Pagina99.it dedicato alle vicende della Politica (http://www.pagina99.it/news/politica/7394/Il-Palazzo--rettifica--Wikiped...).

Nel tempo il progetto si è sviluppato e ad oggi è composto da diversi progetti opensource, tra cui:
- Un parser delle modifiche a Wikipedia per il Twitter Bot
- Un gestore di Twitter Bot per pubblicare in tempo reale le modifiche anonime a Wikipedia eseguite dai Parlamenti, dai Governi o da altre organizzazioni monitorate
- Un sistema di analisi e reportistica che permette ai gestori dei Twitter Bot di creare un repository delle modifiche anonime di un dato Parlamento dal 2004 a oggi.
Attualmente sono oltre 25 i paesi per cui sono stati creati report, sintesi e opendata sulle modifice anonime sino ad oggi. E agli oltre 70 parlamenti si sono aggiunte istanze che pubblicano modifiche anonime di Corporate e di varie organizzazioni (Oils, Bank, Pharm, etc).

Dal punto di vista tecnologico invece, il progetto CongressEdits, ha reso evidente come sia ancora possibile esplorare nuove opportunità e nuove forme di informazione e di analisi. Anche solo integrandole con altre tecnologie, come i social network, per mostrare sintesi significative e rivolte ad una audiance non tecnica e non avvezza nell'utilizzare frameworks, opendata e linguaggi di programmazione.

giovedì 7 maggio 2015

La scuola 'Ben fatta'

La discussione in corso intorno al documento del governo sulla “Buona scuola”, seppure in modi diversi all’interno di valutazioni spesso divergenti sul complesso della proposta stessa, evidenzia una difficoltà importante: la mancanza di una esplicita prospettiva politico-culturale intorno alla quale i vari temi affrontati possano essere ri-organizzati.
Da questa mancanza discende la diffusa genericità nella trattazione di alcuni temi, l’assenza di altri (il tema del processo di apprendimento lungo il corso della vita: dalla formazione iniziale alla età adulta, per fare un esempio) e la scarsa attenzione alla necessità di valorizzare, in termini non rituali, le varie professionalità che nella scuola svolgono attività importanti, ma che ancora una volta rischiano di rimanere compresse tra la retorica della missione/vocazione e la burocratica definizione di funzioni.

Nelle varie riserve e critiche che vengono espresse sicuramente non è presente né la nostalgia di predefiniti dirigismi teorico-filosofici, né la pretesa di una fluidità d’indicazioni all’interno delle quali produrre una sorta di fai da te della istruzione, ma si esprime il richiamo a un progetto culturale capace di confrontarsi con la complessità delle società attuali e delle diverse espressioni in cui la riflessione e il sapere attuale si esprimono.

Alla fine del secolo scorso Edgar Morin aggiungeva al titolo del suo libro/programma La testa ben fatta (Paris, Seuil 1999) un sottotitolo: Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Queste due riforme devono essere strettamente legate, perché – e lo dice molto bene Morin nella parte iniziale del suo testo – cambiare contenuti, luoghi, ambienti e relazioni in cui si apprende significa partire dalla consapevolezza della “inadeguatezza sempre più ampia tra i nostri saperi disgiunti, frazionati, suddivisi in discipline da una parte, e realtà o problemi sempre più poli-disciplinari, trasversali, multidimensionali, transnazionali, globali e planetari dall’altra”.

Non basta quindi coltivare buone teste, né quelle degli scolari né quelle dei docenti, ma bisogna farle bene queste teste, cioè accompagnarle e sostenerle in un processo di costruzione di un’attitudine generale a porre e trattare problemi per trovare soluzioni e, nello stesso tempo, di operare per definire principi organizzatori validi, coerenti, ben fondati, ma sempre aperti alla discussione e al cambiamento.

Allora sarebbe utile porre una domanda: come deve essere fatta una scuola “ben fatta”? in cui teste ben fatte producano buone idee e buone esperienze?

Il lavoro costruito negli anni da Education 2.0 ci consente di proporre alle scuole che abbiamo incontrato nel corso del nostro degli anni, o di cui conosciamo il contributo offerto alla riflessione, a ripensarsi e a raccontarsi come possibili modelli di scuole “ben fatte” facendo emergere proposte di soluzioni ai problemi fondamentali cui la scuola oggi deve rispondere, come sistema e come attività di soggetti responsabili.


E' possibile raccontare le esperienze di 'buona scuola' seguendo lo schema proposto sul sito Education 2.0 - (http://www.educationduepuntozero.it/politiche-educative/gallina105-40123396437.shtml)
- la capacità di essere una scuola inclusiva;
- lo sviluppo delle professionalità e le modalità di valorizzazione di queste;
- la capacità di leggere i bisogni del territorio e di produrre risposte finalizzate alla soluzione di problemi specifici;
- la capacità di essere soggetti di continua ricerca e sperimentazione di azioni ben fatte.

mercoledì 25 marzo 2015

La ricetta rossa diventa elettronica

Un processo che si estenderà progressivamente (per concludersi entro il 2015) e che per il momento riguarda le prescrizioni di farmaci da parte del medico di famiglia, ma nel prossimo futuro coinvolgerà  anche i medici specialisti e i pediatri di fiducia e verrà esteso alla prescrizione di visite ed esami.
Per il cittadino non cambia nulla. Quando il medico di famiglia prescrive farmaci (o visite o esami specialistici) utilizzando la ricetta elettronica, all’assistito consegna invece della ricetta rossa un foglio “promemoria” che riporta le stesse informazioni.
Quando il cittadino deve ritirare un farmaco o prenotare una visita o un esame consegna il promemoria così come faceva con la ricetta rossa. I farmacisti e gli operatori delle Aziende sanitarie recuperano nel computer la ricetta e possono consegnare il farmaco o effettuare la prenotazione della visita o dell’esame.
In una fase successiva, quando il sistema sarà a regime, il promemoria non sarà più necessario: ci sarà solo la ricetta elettronica in rete.
Le informazioni contenute nella ricetta elettronica possono essere viste in tempo reale: il medico di famiglia, lo specialista, il farmacista, gli operatori del Cup (il Centro unificato di prenotazione delle visite e degli esami) possono visualizzare la ricetta nel proprio computer in rete ed essere aggiornati sul bisogno sanitario del cittadino.
Inoltre con la ricetta elettronica viene superata la documentazione cartacea, spesso mal conservata e a volte non disponibile al momento del bisogno.
Inoltre, la ricetta (con le informazioni sanitarie che contiene) entra ora nel Fascicolo sanitario elettronico di ogni assistito. Ed esattamente come il Fascicolo sanitario elettronico, che raccoglie on line tutta la storia sanitaria della persona , la ricetta elettronica contribuisce a semplificare i percorsi per i cittadini ed è uno strumento utile ai professionisti per l'assistenza e la cura. Infine, aspetto non secondario, la nuova modalità nel tempo consente un risparmio economico per il Servizio sanitario regionale.
La ricetta rossa però non sparisce. Resta obbligatoria per prescrivere alcuni tipi di farmaci (per esempio, gli stupefacenti) e può essere rilasciata se per qualche motivo (ad esempio, problemi tecnici al computer) il medico non può comporre la ricetta elettronica e il promemoria.
L’avvio della ricetta elettronica al posto della ricetta rossa è previsto dal Decreto legislativo “Crescita 2.0” ed è un obiettivo dell’Agenda digitale del Governo, insieme al Fascicolo sanitario elettronico. 
Per ulteriori informazioni: www.saluter.it

mercoledì 18 marzo 2015

Fatturazione elettronica: scadenze marzo 2015



Avvicinandosi la data del 31.3.2015, la circolare 9.3.2015, n. 1/DF, chiarisce i soggetti destinatari dell’obbligo di ricevere la c.d. “fattura  elettronica”, introdotta con l’art. 1, commi da 209 a 2014, della l. 24.12.2007, n. 244.
In pratica, l’emissione, la trasmissione, la conservazione e l’archiviazione delle fatture emesse nei rapporti con le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, della l. 31.12.2009, n. 196, nonché con le amministrazioni autonome, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili, deve essere effettuata esclusivamente in forma elettronica.
La trasmissione alle amministrazioni deve essere effettuata attraverso il sistema di interscambio (SdI), ai sensi dell’art. 2 del d.m. 3.4.2013, n. 55.
Le pubbliche amministrazioni obbligate sono inserite nel conto economico consolidato, pubblicato annualmente dall’ISTAT entro il 30 settembre.
La circolare precisa che l’art. 1 del d.m. “individua quali destinatarie dell’obbligo di fatturazione elettronica le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, della l. 31.12.2009, n. 196, nonché le amministrazioni autonome”. Inoltre, precisa sono incluse nell’adempimento “le autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165”.

Le amministrazioni destinatarie dell’obbligo di fatturazione elettronica
a) Soggetti indicati all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30.3.2001, n. 165:
- tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le CCIAA e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), le agenzie di cui al d.lgs. 30.7.1999, n. 300, , fino alla revisione organica della disciplina di settore, il CONI”.
b) Soggetti indicati all’art. 1, comma 2, della l. 31.12.2009, n. 196:
- soggetti indicati ai fini statistici dall’ISTAT nell’elenco oggetto del comunicato del medesimo istituto, pubblicato nella Gazzetta ufficiale entro il 30.9 di ogni anno e le autorità indipendenti.
c) Soggetti indicati all’art. 1, comma 209, della l. 24.12.2007, n. 244:
- Amministrazioni autonome.

Tutti i soggetti indicati nel prospetto cono qualificati come “amministrazioni”.  Tra queste sono comprese anche le amministrazioni locali, che sono individuate nell’elenco pubblicato dall’ISTAT, nel quale è incluso anche il Gestore dei servizi energetici – GSE S.p.A.
L’obbligo di osservare la normativa decorre dal giorno:
- 6 giugno 2014, per i ministeri, le agenzie fiscali e gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale, individuati come tali nell’elenco ISTAT;
- 31 marzo, per tutte le rimanenti amministrazioni, incluse quelle che sono individuate come “amministrazioni locali” nell’elenco ISTAT.



http://www.leggioggi.it/2015/03/16/fatturazione-elettronica-i-soggetti-obbligati/

giovedì 26 febbraio 2015

"Media education e comunicazione interculturale"

Giovani educati al dialogo tra culture, religioni e lingue:"Media education e comunicazione interculturale" è il volume dedicato all'educazione al dialogo nelle scuole della regione Emilia Romagna

Raccogliere le esperienze regionali di media education ed intercultura per poterle valorizzare e diffondere sul territorio è l'obiettivo per il quale è nato il quaderno Media education e comunicazione interculturale, che è il risultato di una delle tante attività promosse dalla Regione Emilia Romagna in tema di comunicazione interculturale.

Il volume, realizzato insieme a Zaffiria, COSPE Onlus e agli altri firmatari del Protocollo d’intesa regionale sulla comunicazione interculturale dell’Emilia-Romagna, raccoglie schede pratiche e di facile consultazione di percorsi realizzati dai firmatari del protocollo d'Intesa.

Obiettivo del protocollo firmato il 17 febbraio 2014 da una trentina di Organizzazioni esperte nel settore, si prefigge di contribuire all'educazione e alla preparazione delle generazioni future al dialogo, alla valorizzazione della diversità e alla condivisione di valori, in una realtà sempre più variegata per provenienze, lingue, culture e religioni come quella dell’Emilia-Romagna, con oltre 170 Paesi rappresentati.

Nelle pagine del quaderno sarà possibile trovare approfondimenti sui concetti di media education, educazione e dialogo interculturale, in una prospettiva che spazia dai contesti locali a quello europeo. L’attenzione è posta su un approccio che mette al centro i ragazzi e le ragazze in un percorso trasformativo che coinvolge anche l’ambiente in cui vivono e mira a renderli cittadini attivi e partecipi.

Per consultare e scaricare il volume:

http://sociale.regione.emilia-romagna.it/news/2015/giovani-educati-al-dialogo-tra-culture

giovedì 19 febbraio 2015

Conoscenza, tecnologie e intelligenza collettiva

Internet costituisce uno strumento potentissimo attraverso il quale riprodurre e diffondere informazioni. Ma l’elemento più rilevante concerne la sua essenza di rete, ossia l’interazione. Grazie all’avvento del Web 2.0 è emersa un’ampia gamma di tool, ricadenti nel concetto di “social media” che, a differenza dei media tradizionali, a costi relativamente contenuti permettono a chiunque di pubblicare, avere accesso e condividere una notevole mole di informazioni. Il superamento del Web 1.0 è frutto dell’evoluzione nell’uso di Internet, non più mero canale attraverso cui accedere a contenuti, ma anche e soprattutto contesto relazionale, in cui si scambiano pareri, si condividono e si formano opinioni. In altre parole, grazie al Web 2.0 si realizza un abbattimento delle barriere comunicative e si asseconda la partecipazione degli utenti al processo comunitario di sviluppo della conoscenza, pervenendo ad un’intelligenza collettiva nell’ambito di un contesto interattivo.Esistono molteplici forme di social media, ciascuna ha un diverso impatto sulla condivisione della conoscenza, anche se tutte si basano sul ruolo dell’ambiente digitale come ambito di conoscenza originale e di potenziale emersione di quella connettiva. Il nostro articolo si inserisce in questo filone di ricerca, con l’obiettivo di cogliere il significato degli strumenti di Web 2.0 nell’esplorazione della conoscenza emergente dall’ambiente digitale. Relativamente al costrutto “conoscenza”, ne accogliamo una definizione ampia, andando al di là di concetti quali inferenza razionale, know-what, know-how, per includere percezione, interpretazione, giudizi di valore, moralità, emozioni e sentimenti. Alla luce di questa prospettiva, è utile richiamare il concetto di 'ba nonakiano' quale spazio condiviso in cui le relazioni e la conoscenza derivano da comuni esperienze dirette e indirette. In tale ottica il Web 2.0 può costituire un potente attivatore di nuova conoscenza, cruciale per il successo dell’impresa.

martedì 3 febbraio 2015

Scuola 2.0. Istruzioni per l'uso a partire dal libro di Paolo Ferri: 'Scuola 2.0'

La rivoluzione digitale sta  trasformando in maniera radicale il mondo della scuola e della formazione in tutti i paesi sviluppati e no. LIM, notebook e tablet cominciano ormai ed “entrare in classe”. Allo stesso modo varcano le porte della scuola altri strumenti digitali interattivi legati ad Internet: gli ambienti virtuali per l’apprendimento (classi virtuali), i  video (lezioni o materiali di approfondimento), i forum, i database di contenuti digitali eccetera. Questi strumenti didattici innovativi permettono allo studente di fruire del sapere e della formazione anche  al di fuori delle mura della scuola, con i tempi e i ritmi che egli stesso può determinare. 
Contemporaneamente la didattica dentro l’aula diventa più attiva, le esercitazioni e i lavori di gruppo si spostano in classe, con la supervisione e il supporto del docente. Le implicazioni pedagogiche di questa inversione sono di grande rilievo, cambia il ruolo degli insegnanti e  gli studenti diventano il centro del processo di apprendimento. La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con l’insegnante, in questo modo si realizza l’”inversione” del setting tradizionale  e  si può parlare di flipped classroom .
Ma cosa significa impostare la propria didattica secondo queste nuove metodologie “aumentate”  e abilitate dalla tecnologia?  Per farlo è necessario ragionare più in grande, si tratta di pensare un sistema “la scuola 2.0 aumentata dalle tecnologie” che inverta il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il conseguente rapporto docente/discente ma deve essere altrettanto ripensato in chiave digitalmente aumentata anche il “sistema di gestione amministrativa” della scuola sia per la sua parte didattica che per la sua parte organizzativa. Mi riferisco, in particolare, alla smaterializzazione delle iscrizione, dei registri e degli scrutini; alla sostituzione dei manuali cartacei con basi dati di “contenuti digitali per l’apprendimento”; e di conseguenza all’adozione di sistemi software gestionali per l’amministrazione della scuola che abbattano la burocrazia “gutemberghiana” e aumentino l’efficienza globale dei sistema sia rispetto agli insengnati   sia rispetto alle famiglie, ma soprattutto rispetto agli studenti. 
Si tratta di un processo necessario, che richiede investimenti, ma che è l’unico che possa mettere al passo l’istituzione formativa con le esigenze e lo stile di apprendimento dei nativi” digitali (Ferri, 20011, 2012). Sono i “nativi digitali” – prima ancora delle direttive europee e della stessa Agenda digitale - che attraverso il loro “stile di apprendimento digitale” suggeriscono oggi questa trasformazione. Richiedono di essere indipendenti e costruire (oltre che condividere) le forme e i risultati del loro apprendimento, appunto. Una trasformazione di sistema che coniughi una nuova modalità didattica e una nuova modalità di gestione della scuola come servizio sociale di “cittadinanza attiva”. Per colmare il gap tra i nuovi stili di apprendimento e comunicazione dei giovani e le strategie di insegnamento e di gestione della nostra scuola, ancora molto tradizionali, occorre una trasformazione radicale che implica la riprogettazione dell’intero sistema scuola. E’ necessario cioè ridisegnare, con il concorso di tutti di Stakeholder, Ministero, Dirigenti, insegnati, famiglie ed editori una nuova scuola “aumentata” dalle tecnologie.
Un obiettivo che sul piano della crescita del sistema paese si configura come il necessario miglioramento dell’asset strategico fondamentale di una società: il suo sistema formativo, l’unico  che possa  migliorare la qualità dei futuri cittadini di una società veramente informazionale.  Analizzando l’impatto della rivoluzione digitale sui contesti dell’educazione formale, appare necessario superare ildigital divide intergenerazionale tra “immigranti e nativi digitali”. Il problema è quello di comprendere come “gettare ponti” e stabilire, attraverso le nuove tecnologie della comunicazione digitale, tra le generazione significa rinforzare la coesione sociale e mettere le basi per una reale innovazione culturale e tecnologica.
E’ necessario perciò che insegnanti e dirigenti comincino ad conoscere e ad implementare i  nuovi strumenti della formazione digitalmente aumentata: i nuovisetting d’aula che riguardano la progettazione e l’organizzazione della didattica e le metodologie di apprendimento/insegnamento; i Virtual Learning Environment (gli ambienti virtuali per l’apprendimento), le diverse soluzioni software per la gestione della formazione e dei processi organizzativi della scuola e i device hardware (tablet, LIM, smartphone, totem per la rilevazione delle presenze).  Allo stesso modo è necessario che gli operatori della scuola conoscano e comincino ad utilizzare realmente come pensare e progettare i nuovi contenuti digitali per la scuola 2.0, integrando i contenuti digitali offerti dagli editori con i materiali realizzati nel corso del tempo dall’insegnante stesso e con i contenuti reperibili liberamente sulla rete all’interno di basi dati freeware riconosciuti e validi (Kahn Academy, Ted, Wikipedia).
Ma proviamo a definire la road map della trasformazione della scuola in Scuola 2.0, Scuola “digitalmente aumentata”.
Per realizzare questo obiettivo è necessario in  primo luogo poter contare su di una infrastruttura digitale.
La scuola digitalmente aumentata è in primo luogo un ambiente scuola con il pieno accesso a Internet e il Governo e il Ministero dell’Istruzione dovrebbero rompere gli indugi e abbandonare le esitazioni e i tentennamenti  nel reperimento delle risorse per il cablaggio a banda larga delle scuole. La possibilità di essere connessi ad Internet in classe attraverso una  connessione potente sia in upload che in download (20 mbit di banda sinctrona almeno) è, infatti,  condizione necessaria  perché tutti gli atri altri device  tecnologici presenti nell’ambiente didattico (LIM, tablet, sistemi di e-learning)  non restino ciechi e muti. I
In seguito, il corredo tecnologico minimo di una classe “digitalmente aumentata” comprende: uno strumento di presentazione/rappresentazione video per accedere ai contenti di Internet (la LIM o un video proiettore, interattivo o no), un  notebook o un tablet per l’insegnate, che funga da “cruscotto” di gestione del processo didattico e almeno 4 o 5 tablet o notebook per gli allievi che permettano loro di svolgere le attività in piccoli gruppi.
L’interazione docente/studente, in questo modo, si trasforma radicalmente dal momento che si riduce molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente il tempo dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al supporto del lavoro degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione razionale” collettiva dei risultati dei  lavori di gruppo condotti dagli studenti.  Ma è tutta la struttura della scuola che deve essere ripensata, proviamo a calarci nei panni dei dirigenti, degli insegnanti che vogliano avviare questo processo: i primi passi da compiere sono:
-          una preventiva mappatura delle risorse tecnologiche a disposizione della scuola ed individuare le persone sia tra il personale insegnate che tecnico amministrativo che possano sostenere il processo di innovazione. Questo permette di valutare in anticipo l’entità economica e organizzativa del cambiamento e conseguentemente dell’investimento economico;
-         è necessario, poi, stilare un piano operativo che preveda una progressiva digitalizzazione dei processi didattici e amministrativi, un cronoprogramma che pianifichi investimenti e tempi dell’intervento, operando in questo caso con aziende che già lavorano in questo campo e confrontando una serie di preventivi;
-         devono essere attivate un serie di azioni found raising presso le istituzioni locali, sia pubbliche che private, presenti sul territorio per reperire le risorse necessarie, anno per anno, per implementare progressivamente ed in maniera sostenibile la digitalizzazione dei plessi scolastici di sua competenza.
Un altro punto fondamentale  per la cabina di regia della transizione al digitale della scuola  è tenersi costantemente aggiornati attraverso i siti istituzionali del MIUR, dell’USR e dell’UST e partecipare a tutti i bandi che via via vengo aperti in tema di implementazione delle nuove tecnologie a scuola, si tratta di un altro modo di reperire le risorse necessarie al cambiamento.
E’ ovvio che non si possa trattare di un processo di brevissimo o breve periodo. Bisogna ragionare in un’ottica sistemica, step by step, partendo dal necessario cablaggio a banda larga della scuola per poi passare alla valutazione dei software e dei device tecnologici necessari, e contemporaneamente avviando la formazione degli insegnanti che deve essere - se possibile - precedente all’implementazione operativa della tecnologia. E’ consigliabile poi partire con l’avvio del progetto in alcune classi, che possono costituire un “pilota” che permetta di calibrare e valutare le criticità del processo complessivo.  
E' necessario poi il supporto e la regia delle istanze centrali dagli Uffici Scolastici regionali, al Ministero dell’Istruzione. Su questo punto l’azione di Governo dal centro di questo processo è ancora molto “balbettante” come dimostra la recente “gaffe” del Ministro Carozza che ha posticipato di un anno (al 2015-2016) la definitiva introduzione dei contenuti digitali per la didattica.  
Sarebbe stato molto più opportuno evitare il rinvio dell’ingresso dei contenuti digitali nella scuola. Ma questo è solo il sintomo di una difficoltà più generale di questo esecutivo  che, a nostro avviso, non sostiene ancora a  sufficienza l’Agenda digitale della scuola definita dal Governo Monti. La “gaffe” sui contenti digitali danneggia, infatti,  l’intero impianto dell'Agenda digitale della scuola e non solo. E' pericoloso dare un segnale di uscita da una traiettoria già segnata, dove erano stati ipotizzati in maniera corretta i tempi per allineare l'Italia all’Europa. Ricordiamo che il cambiamento, che stiamo delineando, in tutti gli altri Paesi è già avvenuto e quasi sempre con un forte commitment dal centro e dal governo.

sabato 31 gennaio 2015

Alfabetizzazione digitale: il metodo Manzi 2.0

Dalla sua nascita la RAI ha svolto un ruolo determinante nel processo di alfabetizzazione del paese. oggi i‘italia ha uno dei tassi di analfabetismo digitale più alti in europa, pari a oltre un terzo della popolazione; l’obiettivo dell‘agenda digitale europea è di ridurlo nel 2020 al 15%.
Il contributo della rai all‘agenda digitale italiana è un progetto di “alfabetizzazione” che punta a ridurre il ‘digital divide’, un fenomeno che nella prospettiva di un‘emittente pubblica si traduce innanzitutto in un ‘cultural divide’. Le linee guida del progetto si pongono l’obiettivo di sviluppare un piano di comunicazione declinato sull’offerta rai con una presenza che virtualmente potrà essere 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno. ripetendo, quindi, l’esperienza effettuata negli anni ‘60 con la famosa trasmissione “non è mai troppo tardi” ma con un approccio del tutto diverso e consapevole dei cambiamenti intervenuti sia nella società italiana sia sul piano delle modalità comunicative. non quindi con l’idea di proporre una trasmissione specifica di alfabetizzazione, ma con una contaminazione dell’intera programmazione del servizio pubblico, dai programmi della mattina alle fiction ai talk show fino a produzioni specifiche, utilizzando i diversi canali e le diverse proposte possibili.



Articolo tratto da: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Rai-Confindustria-arriva-il-maestro-Manzi-2-punto-0-3c8546b5-9972-46c4-95b1-0caf2acc5218.html

sabato 24 gennaio 2015

Il metodo Feuerstein e le disabilità intellettive

Il metodo Feuerstein prende il nome dallo psicopedagogista rumeno Reuven Feuerstein, che lo ha elaborato per sviluppare l'intelligenza di bambini con problemi di apprendimento o con handicap mentali, oppure affetti da sindrome di Down. Il metodo è oggi applicato anche a studenti, ma anche a persone adulte, ad esempio lavoratori che devono aggiornarsi alle nuove tecnologie, disoccupati ed emarginati. La prima fase del metodo prevede la misurazione del potenziale di intelligenza di un bambino, di un adulto, per poi svilupparne appunto l'intelligenza con apposito insegnamento centrato sulla mediazione didattica.
Mediazione didattica fatta da una persona professionalmente preparata ad applicare il metodo in uno dei centri accreditati ufficialmente. La parte applicativa del metodo è il PAS (Programma di Arricchimento Strumentale) con cui si procede tramite esercizi, svolti sempre sotto la guida di un insegnante, a sviluppare l'intelligenza intesa come proprietà dinamica della mente, cioè modificabile. In sintesi il metodo consiste nel rendere consapevole il bambino, l'individuo, che attua dei precisi processi mentali quando impara o risolve dei problemi. Che può essere consapevole di questi processi mentali, (può "vedere" come pensa) e che può modificarli per meglio imparare e risolvere problemi di varia natura, non solo matematici o scolastici. Ad esempio gli esercizi del PAS puntano a far controllare l'impulsività quando si deve rispondere ad una domanda o risolvere un problema, che bisogna riflettere prima di compiere anche la più piccola azione e che ci si deve chiedere sempre quale è il problema e come lo si è risolto e perché si ha avuto successo o meno.
Lo stesso Feuerstein afferma e dimostra, dato che il metodo è ormai applicato in varie nazioni, che il cervello umano è modificabile strutturalmente se opportunamente stimolato e che ad ogni età un individuo può cambiare ed incrementare la propria intelligenza che può così essere insegnata.
Secondo il metodo Feuerstein, l'intelligenza non è un tratto ereditato geneticamente e perciò immutabile; è invece uno stato, risultato di diverse componenti, di cui quella genetica non è la sola né la più importante. L'intelligenza è la propensione dell'organismo a modificarsi nella sua struttura cognitiva, in risposta al bisogno di adattarsi a nuovi stimoli, di origine interna o esterna che siano.