sabato 18 ottobre 2014

Dossier 'L'albero di Lullo' III parte - Gestire la conoscenza in azienda

Il Knowledge Management, in senso letterale “Gestione della conoscenza” può essere inquadrato e definito come capacità di un’azienda di organizzare e gestire in modo efficiente il proprio patrimonio di informazioni , tangibili e intangibili, attraverso l’IT e applicazioni software. Un processo interno che si traduce nella capacità delle aziende di localizzare e integrare tutte le informazioni presenti, metterle a disposizione a tutti i livelli aziendali al fine di dare ad ogni informazione un valore aggiunto, ed essere così competitiva per affrontare la globalizzazione crescente. Gli step attraverso i quali un’azienda può impostare un Knowledge Management System sono: l’identificazione e ricognizione delle informazioni, l’integrazione, l’organizzazione, fruizione.
Ma perché attivare questo processo in azienda? Per quattro ordini di motivi: a) la crescente globalizzazione e competitività dei mercati; b) i cambiamenti repentini nelle abitudini e nei modalità di acquisto dei consumatori; c) necessità di avere a disposizione tutte le informazioni per massimizzare il lavoro delle risorse umane; d) la necessità di improntare una cultura aziendale e dei processi interni in grado di affrontare i cambiamenti esterni. Il tutto per migliorare la qualità, ridurre i tempi di risposta, e adattarsi ai mutamenti esterni. Processi di questo tipo impattano su tutte le linee di Business.
La globalizzazione dell’economia ha favorito il delinearsi di uno scenario caratterizzato da una maggiore interazione tra azienda e utente. Fondamentale anche il ruolo delle nuove tecnologie, che hanno progressivamente accorciato le distanze con il brand, consentendo al consumatore di ‘dialogare’ direttamente con l’azienda, come mai è stato possibile in passato. Operatori più accessibili, eppure non necessariamente più efficienti: il consumatore non si accontenta di ricevere un’assistenza di carattere generico, ma desidera avere risposte precise, possibilmente in tempi rapidi. E’ in questo contesto che si inserisce il knowledge management, il cui obiettivo non è semplicemente quello di mettere in contatto il cliente e l’azienda, ma piuttosto quello di rendere l’interazione quanto più utile ed efficiente possibile.
Il comparto IT continua a essere un tassello fondamentale per lo sviluppo di ogni tipo di business che offra web customer service. Deve quindi assicurare la disponibilità e il corretto funzionamento del sistema, spesso integrandolo con infrastrutture pre-esistenti e, dall’altro lato, farsi garante della sicurezza dei dati, altro aspetto imprescindibile per ogni business online.
Il futuro del knowledge management non è troppo lontano e alcuni scenari evolutivi sono già in atto. Ad esempio, si stanno sviluppando nuovi canali di comunicazione: pensiamo alle video chat – prerogativa quasi esclusivamente americana che sta però cominciando a prendere piede anche in Italia – oppure ai social network, che hanno modalità di interazione completamente sui generis e che, per questo, impongono la creazione di una base di conoscenza channel-specific.
Parallelamente, assistiamo a un cambiamento di tipo strategico: il knowledge management presenta infatti un legame sempre più forte non solo con il customer service (come da tradizione) ma anche con l’area vendite. In un’ottica di engagement totale del cliente, si fa sempre più labile il confine tra vendita e assistenza, in favore di un unico comparto in cui un’appropriata gestione della conoscenza diventa la base del successo della relazione tra il cliente e il brand.

Di Knowledge Management abbiamo parlato con il Dott. Maurizio Masotti di Quattroemme Consulting s.r.l., che da sempre sostiene che un'azienda competitiva è quella che non disperde il patrimonio culturale dei singoli, ma sa come valorizzarlo e reinvestirlo, con l'obiettivo di creare e mantenere un circolo virtuoso di diffusione e creazione di conoscenza, come standard metodologico dell'operare quotidiano. I vantaggi concreti che ne derivano sono riconducibili allo snellimento dei processi comunicativi tra i vari reparti aziendali, delle procedure e delle relazioni con partner, clienti e fornitori, aumentando il livello di collaborazione, di compartecipazione, di produttività delle persone; alla diminuzione della dispersione dell'informazione; al taglio dei costi di comunicazione e gestione documentale; alla salvaguardia del patrimonio informativo aziendale. Le fondamenta di un sistema di gestione della conoscenza aziendale sono insite nell'organizzazione stessa dell'azienda, nel saper individuare i flussi di comunicazione determinanti e in un approccio che sia di sostegno al cambiamento culturale conseguente all'instaurarsi delle attività previste. Il fine ultimo di questa visione e del suo procedere è la nascita di una "Learning Organization", ossia una organizzazione che "apprende ad apprendere", che sa, quindi, interpretare ed utilizzare tutte quelle che sono le informazioni utili per il progresso aziendale. Questo può avvenire sia attraverso dei meccanismi indotti di formazione, sia attraverso i canali di trasferimento delle informazioni utilizzati e implementati per favorire un'attività di autoapprendimento continuo, non solo riguardo alla diffusione di conoscenze "tecniche" e specifiche relative al proprio ambito lavorativo e alle proprie competenze, ma anche riguardo alle strutture e ai processi aziendali che caratterizzano l'organizzazione, oltre che ai valori sui quali si fonda e agli obiettivi che intende perseguire, regalando al knowledge worker più competenza, più consapevolezza, più identità.


Knowledge Management: secondo Lei, quale è il suo ruolo in una economia globalizzata e perché acquisisce sempre più importanza?
Il km è un metodo, una pratica che nasce e si sviluppa proprio a causa della globalizzazione e con l’avvento e la diffusione di quella che viene definita l’economia della conoscenza, fatta appunto di conoscenze, saperi che si autoalimentano, che circolano liberamente, senza più barriere di tempo e spazio grazie alle tecnologie, in cui il valore e obiettivo al quale tendere è il saper raccogliere questa conoscenza, saperla elaborare per trarne informazioni utili, per creare nuova conoscenza e quindi un vantaggio, quel quid che rende più forti della concorrenza. La globalizzazione ha certamente offerto grandi possibilità di sviluppo economico per le organizzazioni, ma le ha anche rese più incerte riguardo alla proprie strategie per mantenersi competitive. Il km offre questa opportunità: metodi e strumenti per cogliere tutti gli input (conoscenza tacita ed esplicita) che circolano internamente ed esternamente alle organizzazioni e renderli valore, renderli appunto vantaggio sulla concorrenza.


•Perché, secondo Lei, solo ora si parla di capitalismo cognitivo?
Perché oggi i tempi sono maturi per parlare di questa nuova fase che è un prodotto dell’avvento dell’era digitale. La fase di transizione che ci ha visti passare dal capitalismo alla knowledge economy è quasi del tutto concluso. Ha comportato grandi sacrifici e adattamenti di cui ancora in questo momento tutti noi ne stiamo vivendo le conseguenze e che non sono certamente facili da sopportare. Nella locuzione capitalismo cognitivo sono compresi propri i termini di quello che c’è in ballo: la ricerca del profitto ottenibile da un nuovo modo di produrre, favorito dalla tecnologia, che è il risultato della messa a fattor comune della conoscenza distribuita. Viviamo in questa era in cui la differenza la fa la governance del knowledge. In cui la differenza la fanno i knowledge workers, le relazioni esterne che intesse l’organizzazione ed interne che la attraversano. In cui la differenza è strettamente legata alle opportunità offerte dalle tecnologie digitali e da Internet. Quindi fermo restando la struttura del sistema capitalistico e del suo fine che è il profitto, quello che è emerso, anzi direi quello che l’evoluzione del capitalismo stesso ha prodotto, è che per essere profittevoli, competitivi, capaci di reagire alle fluttuazioni ormai quasi imprevedibili del mercato, quanto meno nelle tempistiche, è necessaria una modalità diversa di agire, di ascoltare e quindi di interpretare l’ambiente in cui le organizzazioni operano. Oggi quello che fa la differenza sono i beni intangibili. La capacità di essere innovativi e flessibili. L’innovazione che rende puo’ essere certamente di prodotto, ma potrebbe essere anche un nuovo modo di relazionarsi con il proprio pubblico di riferimento, di procedere nella propria attività. Adottare strumenti che agevolano questo cambiamento, che forniscono alle organizzazioni l’opportunità di mantenersi attente e aggiornate su quanto accade intorno a loro e sul potenziale interno, ma soprattutto avere ben chiaro come utilizzarli e con quali finalità, fa la differenza.


•Quale è il ruolo dell’IT in questo quadro, e perché le aziende dovrebbero affidarsi alla tecnologia per rendere efficiente il processo di Knowledge Management?
L’IT ha un ruolo fondamentale ovviamente. Nel km tutto ruota intorno all’ innovazione e all’ ottimizzazione dei processi delle varie aree aziendali, al realizzare la giusta infrastruttura tecnologica per realizzare questi obiettivi e al creare un ambiente abilitante per mettere le persone in condizione di cambiare modalità operativa, tenendo presenti le esigenze organizzative, ma guardando la trasformazione dal punto di vista delle persone. Perché poi sono proprio le persone a validare questo cambiamento e a renderlo possibile. Le organizzazioni immerse in un contesto di dati e informazioni devono poterle elaborare in modo che diventino elementi di conoscenza indispensabili ai fini della definizione delle strategie e degli obiettivi aziendali. Devono saper governare questo processo di generazione di conoscenza, sia nell’ambito del patrimonio informativo che posseggono o con cui entrano in contatto, sia del contesto utente. La tecnologia, ossia infrastruttura e strumenti, è quindi, ripeto, imprescindibile nell’attuazione e realizzazione di un progetto di knowledge management.


In che modo Quattroemme si colloca all’interno di questo quadro? In che modo il Knowledge Management può rivelarsi prezioso per una corretta gestione del cliente?
Quattroemme Consulting, fin dal lontano 1987, ha focalizzato la propria attività sulla realizzazione di sistemi per il Groupware, oggi Social Collaboration. Ha poi nel tempo approfondito questi temi avendo lavorato negli anni in rapporto direi di vera partnership con grandi organizzazioni e multinazionali, affiancando le aziende in progetti per intranet, document, content and workflow management, corporate portals, social business, collaboration e ovviamente, aspetto delicatissimo e fondamentale, per data analysis, business intelligence e cruscottistica direzionale. In tali tipologie di progetti non è importante solo puntare ad un miglioramento o addirittura alla creazione di un processo informatizzato, ma bisogna avere una visione ampia del progetto, dagli impatti organizzativi, ai possibili sviluppi ed evoluzioni. Nella gestione delle esigenze delle organizzazioni che si cimentano e credono in progetti per il km o che sanno inquadrare alcune rivisitazioni e integrazioni di processo in quest’ottica, bisogna mantenere un approccio e una visione globali in cui sia prevista l’integrazione di sistemi preesistenti con sistemi e strumenti nuovi, per ottenere un controllo ottimale del processo di creazione della conoscenza aziendale. L’importante è capire che Organizzazione e Persone che ne fanno parte sono un tutt’uno e che per ottenere i risultati sperati da questo tipo di progetti e un ROI è necessario procedere per gradi, ragionare su obiettivi di breve termine, tenendo presente quelli di lungo termine. L’esperienza ci ha portato nel tempo ad affrontare ogni nuovo progetto con questo approccio consulenziale, in modo da poter offrire il miglior servizio possibile in termini progettuali e di realizzazione di prodotti software.


venerdì 17 ottobre 2014

Rapporto MIUR 'La buona scuola' - Cap II - La vera autonomia: valutazione, trasparenza, apertura, burocrazia zero

Abbiamo iniziato occupandoci in dettaglio dei docenti, perché sappiamo bene che gran parte delle azioni contenute in questo Piano resterebbero lettera morta senza meccanismi nuovi di, formazione, reclutamento e valorizzazione professionale in grado di assicurare che in classe vadano i migliori formatori che il Paese è in grado di offrire.
Questo cambiamento può realizzarsi solo a una condizione: che la scuola riveda radicalmente il modo in cui funziona. In altre parole: dobbiamo realizzare pienamente l’autonomia scolastica. Per attuarla disponiamo formalmente già di (quasi) tutte le norme necessarie. Ma non siamo stati capaci, negli anni, di attuarle, dotando le scuole (e il sistema scolastico nella sua interezza) di strumenti appropriati di gestione, valutazione, governance e circolazione delle informazioni necessarie per dare alle scuole gambe proprie su cui camminare. Anzi, abbiamo fatto spesso l’esatto contrario. Un esempio? Per un liceo è già possibile, in teoria, cambiare fino al 30% del piano di studi dell’anno scolastico. La norma richiede che questa quota oraria sia gestita utilizzando l’organico di cui l’istituto è dotato oppure attraverso docenti non nell’organico della scuola, retribuiti con
risorse accessorie. Nella gran parte dei casi, tuttavia, le scuole non hanno i fondi per remunerare docenti esterni alla scuola, mentre quelli interni hanno orari rigidi e competenze non riconvertibili. La norma dunque esiste, ma come spesso accade, non la si può attuare. Non c’è vera autonomia senza responsabilità. E non c’è responsabilità senza valutazione. Dobbiamo quindi poter aiutare ogni scuola – e poi valutarla su questo – a costruire il suo progetto di miglioramento, partendo da un coinvolgimento sempre più significativo dei docenti e degli studenti, e offrire contestualmente alle famiglie uno strumento di informazione e trasparenza sulla qualità della scuola dove mandano i loro figli. Per vivere e crescere nell’autonomia responsabile, ogni scuola deve poter schierare la miglior squadra possibile. Per farlo, i curricula dei docenti saranno resi fruibili in maniera trasparente, e le informazioni in esse contenuti serviranno alle scuole per la selezione degli organici funzionali e per la mobilità di tutti i docenti.
Infine autonomia è il contrario di autoreferenzialità. Nessuna scuola è un’isola, ma anzi è il centro di una rete di intersezioni preziose: fino ad oggi “più autonomia” ha spesso significato abbandonare le scuole a loro stesse. Quella che era un’opportunità di ricucire il tessuto educativo del Paese in chiave sussidiaria si è rivelata un’occasione sprecata. Ripartiamo da qui. Anzitutto connettendo le scuole al mondo, attraverso uno sforzo che coinvolga pubblico e privato per garantire alle nostre scuole un accesso più diffuso e capillare a internet. E poi collegando le stesse scuole al territorio circostante.
Autonomia significa buona governance della scuola. I dirigenti scolastici, valutati e selezionati per la loro professionalità in maniera nuova, saranno messi in condizione di determinare più efficacemente le dinamiche interne alla scuola, incluse le scelte educative.
Potranno scegliere tra i docenti coloro che coordinano le attività di innovazione didattica, la valutazione o l’orientamento e premiarne, anche economicamente, l’impegno. Servono poi organi collegiali rivisitati, aperti, agili ed efficaci. E poi servono semplicità e semplificazione: anni di ipertrofia regolatoria hanno reso urgente un’azione di razionalizzazione. La metteremo a punto con i protagonisti della scuola: presidi, amministrativi, docenti. Perché nessuno meglio di loro può dire quali siano le regole più superflue, le complicazioni più inutili, cosa serva per sbloccare la scuola. Tutti i membri della comunità territoriale devono poter trovare, nella scuola, un punto di incontro anche
oltre l’orario curricolare, un centro di attrazione per iniziative di educazione informale, volontariato, lotta alla dispersione, integrazione. Di riscatto e protagonismo civico. La valutazione è il punto di partenza per conoscere punti di forza e debolezza di ogni singolo istituto e per conoscere il nostro sistema educativo nella sua totalità. D’altronde la scuola è il primo ambito della vita in cui i giovani apprendono il valore educativo della valutazione: i primi 4 e i primi 7 in pagella li abbiamo presi proprio a scuola. Sarebbe assurdo applicare questo principio a tutti tranne che alla scuola stessa. Scansiamo il campo dagli equivoci:
il sistema di valutazione della scuola che intendiamo costruire non è fatto di competizione
e classifiche. E non mira, semplicisticamente, a “premiare la scuola migliore”, quanto piuttosto a “sostenere la scuola che si impegna di più per migliorare”. C’è una bella differenza: non abbiamo bisogno di gare tra istituti, ma di incoraggiare tutti gli istituti, in tutto il territorio, al miglioramento continuo di quello che offrono agli studenti. Ogni scuola appartiene a un territorio diverso, ha la sua memoria e la sua prospettiva. Ha i suoi legami con il tessuto produttivo locale, le proprie ricchezze da valorizzare, i propri limiti da superare. La sfida è principalmente con se stessa. Occorre un modello di valutazione che renda giustizia al percorso che ciascuna scuola intraprende per migliorarsi e allo stesso tempo costituisca un buono strumento di lettura per chi è esterno alla scuola. Oggi, dopo molti anni di gestazione, abbiamo gli strumenti per farlo. Il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 80 del 2013, sarà reso operativo dal prossimo anno scolastico per tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie. L’approccio con cui lo attueremo è votato all’agilità e alla non ridondanza: non sarà un ulteriore adempimento amministrativo che si somma valutazione per migliorare la scuola alle già tante richieste di documentazione, ma anzitutto un modo per offrire alle scuole un quadro di riferimento, dei dati comparati, degli strumenti per sviluppare, sostenere e orientare il proprio miglioramento.
Dentro allo strumento di autovalutazione si troveranno indicatori su contesto e risorse, esiti e processi della scuola: ambienti di apprendimento, apertura verso il territorio, pratiche educative e didattiche, livello e qualità di quello che gli studenti avranno imparato,
elementi socio-economici di contesto, ma anche informazioni utili per capire, ad esempio,
se gli apprendimenti degli studenti incidono sulla loro scelta di proseguire gli studi o sulle
loro chance di trovare un lavoro. Si verificherà se i risultati di apprendimento fra le classi e dentro le classi siano equi o meno all’interno della stessa scuola o se mostrano invece delle distorsioni da correggere affinché nessuna classe – e nessun ragazzo in nessuna classe – sia abbandonato a se stesso. Il Sistema Nazionale di Valutazione sarà esteso anche alle scuole paritarie. Servirà lavorare per dare alle scuole paritarie (valutate positivamente) maggiore certezza sulle risorse loro destinate, nonché garanzia di procedure semplificate per la loro assegnazione. Sarà ugualmente importante assicurare
trasparenza. Per questo, i dati relativi alla valutazione delle scuole paritarie saranno trattati
come i dati di tutte le altre scuole, e saranno quindi pubblicati su Scuola in Chiaro 2.0.
Nel processo di valutazione sarà fondamentale l’apporto degli ispettori, che concorrono
alla realizzazione delle finalità di istruzione e di formazione e agli obiettivi del SNV, coordinando i nuclei di valutazione esterni alle scuole. Il rapporto e il piano di miglioramento saranno pubblicati in formato elettronico secondo diverse modalità: testuale (integrale e di estratto) e in formato aperto. Cosa permetterà di fare questo nuovo strumento? Molte cose:
• ogni scuola avrà un “cruscotto” comune di riferimento grazie al quale individuare i propri punti di forza e di debolezza e sviluppare un piano triennale di miglioramento che avrà al centro i risultati degli studenti, il loro apprendimento e successo formativo.
• il finanziamento per l’offerta formativa (a partire dal MOF, vedi Capitolo 6) sarà in parte legato all’esito del piano di miglioramento scaturito dal processo di valutazione.
• Il livello di miglioramento raggiunto dall’istituto influenzerà in maniera premiale la retribuzione dei dirigenti.
il SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE sarà operativo dal prossimo anno scolastico
per tutte le scuole pubbliche, statali e paritarie. L a scuola deve insegnare i valori dell’apertura e della trasparenza, ma deve anche praticarli. A partire dal 2015 per ogni scuola saranno pubblicati in forma aggregata e, dove possibile, di microdati:
• i flussi di dati sull’organizzazione della scuola (organico, edilizia, bilancio)
• i rapporti di autovalutazione di ogni scuola, costruiti sulla base di format e indicatori comuni, e i relativi piani di miglioramento;
• i bilanci delle scuole (di previsione e conto consuntivo, con la descrizione analitica dell’impiego delle risorse provenienti da Stato, Enti locali, famiglie e privati);
• tutti i progetti finanziati attraverso il MOF o altri fondi a bilancio della scuola;
• una mappatura delle interazioni delle scuole con il territorio: partneriati con imprese, fondazioni, amministrazioni locali, eventi.
La trasparenza non è una mera rendicontazione che arriva alla fine del processo amministrativo. Dobbiamo pensarla invece come elemento “fondativo” nell’amministrazione, gestione e programmazione della scuola. I dati saranno pubblicati sulla piattaforma “Scuola in Chiaro 2.0”, in forma aggregata e per singola scuola, navigabili secondo diversi criteri quali il codice meccanografico degli istituti, l’area geografica e/o altri indicatori. La sperimentazione di “Scuola in Chiaro” è già online in forma elementare: la nuova versione sarà oggetto di un Design Challenge – una gara aperta per identificare la miglior soluzione tecnologica che aumenti la fruibilità delle informazioni.
Il pieno accesso ai dati sulla scuola deve stare alla base dell’autonomia scolastica: serve ai genitori che vogliono essere consapevoli della scelta della scuola per i propri figli;
serve agli studenti che hanno il diritto di conoscere la scuola che frequentano; serve soprattutto al corretto funzionamento ella scuola stessa, per realizzare davvero l’autonomia e l’innovazione didattica e organizzare al meglio il lavoro del proprio team di docenti, tra lezioni in classe e attività complementari, da sola o con altre scuole in rete.
A tali dati si aggiungerà come novità di grande importanza: il Registro Nazionale dei docenti della scuola. Il registro sarà attivo a partire dall’anno scolastico 2015-2016 e offrirà le informazioni sulla professionalità (un portfolio ragionato) di tutti gli amministrativi, dirigenti, insegnanti, associato alla scuola in cui sono in servizio. Il Registro conterrà tutte le informazioni amministrative provenienti dal fascicolo personale e altri dati aggiuntivi, sulla base della rodata sperimentazione degli ultimi due anni per la costruzione dell’anagrafe della professionalità del docente. A cosa servirà questo registro? A molte cose: sarà navigabile dal personale amministrativo della scuola, per assolvere agli scopi della normale gestione del personale; una parte di questi dati, opportunamente identificati nel rispetto delle regole sulla riservatezza, sarà anche visibile online in relazione alla scuola il cui personale presta il servizio, come avviene nelle sezioni “Persone” sui siti di diverse organizzazioni. La sezione di tale Registro relativa ai docenti avrà una funzione
organizzativamente molto rilevante a partire dal prossimo anno scolastico: nel caso dei docenti reclutati come organico funzionale, il registro sarà infatti lo strumento che ogni scuola (o rete di scuole) utilizzerà per individuare i docenti che meglio rispondono al proprio piano di miglioramento e alle proprie esigenze. E servirà, quindi, per incoraggiare e facilitare la mobilità dei docenti, da posti su cattedra a posti come organico dell’autonomia e viceversa, così come tra scuole diverse. Il dirigente scolastico, consultati
gli organi collegiali, potrà in tal modo chiamare nella sua scuola i docenti con un curriculum coerente con le attività con cui intenda realizzare l’autonomia e la flessibilità della scuola. In questo modo le scuole potranno utilizzare la leva più efficace per migliorare la qualità dell’insegnamento: la scelta delle persone. il registro nazionale
dei docenti della scuola sarà lo strumento che ogni scuola (o rete di scuole) utilizzerà per individuare i docenti che meglio rispondono al proprio piano di miglioramento e alle proprie esigenze.
Dobbiamo mettere la scuola nelle condizioni di cambiare rotta. Per farlo, il timoniere è essenziale: al dirigente scolastico va data la possibilità di organizzare meglio il lavoro all’interno della scuola, di guidare il piano di miglioramento, di concordare le sfide con il territorio e con gli altri attori sociali dell’area vasta che sostiene l’istituto.
I presidi sono oggi troppo spesso impegnati a decodificare le circolari ministeriali anziché occuparsi di coordinare la progettazione educativa, governare l’istituto con attenzione e interessarsi agli stimoli che provengono dall’esterno. I dirigenti hanno la titolarità delle relazioni sindacali, la rappresentanza legale, sono datori di lavoro e stazione appaltante. Sono responsabili di (quasi) tutto; ma non hanno nelle loro mani le leve di governo per assumere al meglio tali responsabilità. Perché ciò avvenga è necessario in primo luogo definire meglio il profilo professionale del dirigente scolastico, individuare meccanismi di reclutamento che assicurino la massima preparazione professionale e realizzare un sistema per la loro la valutazione. Abbiamo bisogno di garantire ad ogni scuola professionalità solide e competenti a cui affidare il cambiamento. Inoltre, pur mantenendo e rafforzando le indiscutibili competenze “gestionali” necessarie per promuovere l’efficienza di un’organizzazione complessa, serve puntare sullo sviluppo di competenze professionali connesse alla promozione della didattica e della qualificazione dell’offerta formativa. Il dirigente scolastico ha poi bisogno di una squadra intorno a lui, a partire dalla collaborazione stretta e produttiva del Direttore Servizi Generali e Amministrativi, suo braccio esecutivo per la parte di gestione contabile e sentinella del corretto e fluido funzionamento della macchina burocratica. Una buona scuola ha bisogno di presidi selezionati con cura, che dimostrino di disporre al tempo stessa di esperienza diretta e approfondita dei processi educativi, ma anche delle competenze necessarie per gestire una organizzazione complessa. Per l’ultimo concorso,
ci sono stati contenziosi e ricorsi in quasi metà delle regioni italiane; tanto che in quattro regioni si è arrivati all’annullamento delle graduatorie con un coinvolgimento del 30% dei candidati rispetto al numero complessivo dei posti banditi. Dopo anni in cui la selezione dei presidi è stata affidata a concorsi regionali che hanno mostrato tutti i loro limiti, è stato deciso di recente di prevedere che la selezione di chi sarà chiamato a guidare una scuola venga fatta tramite il corso-concorso della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, ossia dalla stessa istituzione che seleziona e forma tutti i dirigenti
dello Stato. E’ una novità importante, dal momento che anche i presidi sono prima di tutto dirigenti. E il recente Decreto Legge 58/214 consentirà adesso di bandire il primo corso-concorso entro la fine dell’anno, invece di dover aspettare l’assunzione dell’ultimo idoneo nell’ultima regione d’Italia, cosa che avrebbe richiesto diversi anni di mancata attuazione della nuova procedura, ritardando drammaticamente i tempi per dotare le scuole italiane dei presidi che ancora mancheranno all’appello, nonostante sia stata di recente ottenuta, per l’anno scolastico 2014-2015, la nomina in ruolo di 620 dirigenti scolastici, pari a circa il
60% di tutte le reggenze che si sarebbero altrimenti avute sui posti vacanti e disponibili (la
percentuale scende infatti al 4% se consideriamo anche le reggenze dovute a scuole sottodimensionate e a posti solo disponibili ma non vacanti, ad es. perché il titolare è in aspettativa comandato altrove).
Il corso-concorso è una novità che deve essere attuata con saggezza e lungimiranza,
partendo dalla specificità dei compiti che i nuovi presidi saranno chiamati a svolgere, e quindi – sia per la selezione (concorso) che per la successiva formazione (corso) – che tenga conto di cosa vuol dire governare una scuola e sviluppare un progetto formativo. Il design delle prove concorsuali, così come delle lezioni che i vincitori frequenteranno prima di entrare in servizio, sarà fatto a partire dall’esperienza di dirigenti scolastici e docenti, e non solo sulla base dell’esperienza dell’amministrazione centrale dello Stato. La figura dell’ispettore (Dirigente Tecnico), ruolo fondamentale, va poi rafforzata, prevedendo che vi si potrà accedere da dirigente scolastico come sviluppo di carriera. Il meccanismo di reclutamento di questa figura avviene per chiamata su progetto e competenze documentabili; il sistema a base nazionale, e prevede la valorizzazione della professionalità maturata in servizio e rilevabile anche attraverso la valutazione. Inoltre, ogni scuola potrà dotarsi di alcune figure di base reclutate attraverso un processo iper-semplificato (ad es. esperto di valutazione, esperto in Bisogni Educativi Speciali). Chiaramente, le scuole potranno condividere in rete queste diverse professionalità.
Per innescare processi di miglioramento e attrarre docenti entusiasti e motivati dalle prospettive di carriera è inoltre necessario stabilire un serio sistema di incentivi di natura
reputazionale ma anche economica. Una valutazione seria consente anche di fare in modo che i docenti con più energie e abilità si dedichino al rafforzamento della comunità scolastica e siano debitamente premiati. In questo processo, al docente
Reclutamento dei presidi: un nuovo corso – concorso della scuola nazionale dell´amministrazione.
Al “mentor” spetterà anzitutto la formazione tra pari e la supervisione sui tirocinanti (vedi Capitolo 1). Egli sarà anche membro dei nuclei di valutazione delle scuole.
La rinnovata definizione dei poteri e delle responsabilità del dirigente scolastico va bilanciata da un nuovo protagonismo dei docenti e da un maggiore coinvolgimento dei genitori, degli studenti e del territorio di riferimento. La governance interna della
scuola va ripensata: collegialità non può più essere sinonimo di immobilismo, di veto, di impossibilità di decidere alcunché. Vanno ridisegnati al meglio gli organi collegiali della scuola, distinguendo tra potere di indirizzo e potere di gestione. Il Consiglio dell’Istituzione scolastica diventerà il titolare dell’indirizzo generale e strategico dell’Istituzione; il Collegio docenti avrà l’esclusiva della programmazione didattica; e il Dirigente scolastico sarà pienamente responsabile della gestione generale (coadiuvato dal Direttore Servizi Generali e Amministrativi) e alla realizzazione del progetto di miglioramento definito sulla base della valutazione. una buona scuola ha bisogno di presidi selezionati con cura, che dimostrino di disporre al tempo stesso di esperienza diretta e approfondita dei processi educativi, ma anche delle competenze necessarie
per gestire una organizzazione complessa. Nel concreto, i nuovi organi di governo della scuola potrebbero essere: • il consiglio dell’Istituzione scolastica; • il dirigente scolastico; • il consiglio dei docenti; • il nucleo di valutazione.
Naturalmente, accanto a questi organi fondamentali, le scuole in autonomia promuoveranno altre forme di rappresentanza significativa per definire e qualificare una buona governance con attenzione alle proprie specificità.
Permettere alla scuola di lavorare meglio significa ridurre la burocrazia. Perché dirigenti
scolastici, personale amministrativo, e docenti sono vincolati da mille adempimenti, moltissimi dei quali datati, di cui devono essere liberati per potersi concentrare sull’offerta formativa e i bisogni reali dei ragazzi.
Basta pensare a cosa significa oggi per una segreteria scolastica scorrere le graduatorie per assumere una supplente, con telegrammi, fonogrammi (sic!) e attese di giorni per rinunce e possibili accettazioni; oppure, per un preside, la gestione di oltre un centinaio di richieste di documentazioni di dati che arrivano ogni anno dai diversi uffici pubblici; così come le pubblicazioni per la trasparenza che nessuno legge, per non dimenticare le giuste incombenze sulla sicurezza dell’immobile della scuola su cui non ha nessuna possibilità di intervento diretto. Sono solo esempi, ma parlano chiaro. Serve fare, direttamente con i dirigenti scolastici, i docenti e il personale amministrativo, una ricognizione dettagliata delle 100 misure più fastidiose, vincolanti e inutili che l’amministrazione
scolastica ha adottato nel corso dei decenni, e abrogarle tutte insieme, con un unico provvedimento “Sblocca Scuola”.
Questa è anche un’ammissione di colpa di chi Governa e di chi legifera. Un errore, forse endemico, nel modo di produrre centralmente gli stessi provvedimenti che ora chiediamo al mondo della scuola di aiutarci a semplificare. Lo “Sblocca Scuola” aiuterà anche e soprattutto l’amministrazione centrale, sarà un modo per aiutarci a guardare, a scovare, ed iniziare così un processo di semplificazione normativa e di ricostruzione di fiducia che possa durare nel tempo. Più in generale, nella scuola è successo quello che è successo in tutti gli ambiti in cui è intervenuto il legislatore: con il tempo si sono create stratificazioni
che rendono oggi il quadro normativo spesso incomprensibile, in molti casi addirittura contraddittorio. Il Testo Unico sulla scuola è del 1994 – esattamente venti anni fa. Ed è ora di produrne uno nuovo, per dotarci di una normativa chiara, semplice, univoca – che aiuti tutti, a partire da chi vive la scuola quotidianamente, a lavorare bene.
Occorre, quindi, nel medio termine (un anno), rielaborare un nuovo Testo Unico della Legislazione scolastica, che metta ordine e faccia chiarezza tra le varie norme introdotte nei decenni. Cari presidi, amministrativi, docenti, qual è stata la norma più assurda con cui vi siete scontrati per riuscire a fare una cosa bella nella vostra scuola?
Vogliamo che la scuola diventi il filo forte di un tessuto sociale da rammendare. Che ritorni ad essere centro inclusivo e gravitazionale di scambi culturali, creativi, intergenerazionali, produttivi. Connessione e apertura sono il passaggio centrale di questo percorso: connessione alla Rete, alla conoscenza, al mondo; apertura verso il territorio, la comunità, la progettualità di esperienze emergenti.
Per liberare la scuola ci vuole più connessione, anzitutto digitale.
Ad oggi, solo il 10% delle nostre scuole primarie, e il 23% delle nostre scuole secondarie, è connesso ad Internet con rete veloce. Le altre sono collegate a velocità medio-bassa, ma con situazioni molto differenziate, e spesso sufficienti a mettere in rete solo l’ufficio di segreteria, o il laboratorio tecnologico; quasi in una scuola su due (46%), la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette quell’innovazione didattica che la Rete può abilitare. Più della metà delle classi del nostro Paese, quindi, non può applicare forme di didattica digitale. Un digital divide che non possiamo permetterci, se abbiamo a cuore la nostra scuola. Il processo di digitalizzazione della scuola è stato troppo lento, non solo per mancanza di risorse pubbliche. Abbiamo anche investito in tecnologie troppo “pesanti”, come le Lavagne Interattive Multimediali (le famose “LIM”), che hanno da una parte ipotecato l’uso delle nostre risorse per innovare la didattica, dall’altra parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti.
La tecnologia non deve spaventare. Deve invece essere leggera e flessibile, adattandosi alle esigenze di chi la usa, allo stile dei nostri docenti, alla creatività dei nostri ragazzi. Non deve essere costrittiva e catalizzare l’attenzione, ma deve essere abilitante, diffusa, personale, discreta. Rispettosa del valore umano dell’educazione, del valore sociale della didattica, e infine il più possibile sostenibile per le nostre risorse pubbliche.
Questa è la visione su cui vogliamo investire, per far sì che nessuna scuola sia isolata o lasciata indietro, e per completare, con urgenza, la digitalizzazione degli istituti scolastici di ogni ciclo.
Il Governo ha investito molto sull’edilizia scolastica dando nuovo impulso a misure già
poste in essere lo scorso anno, e trovando risorse aggiuntive. Si segnalano in particolare:
#Scuole Sicure Si tratta di interventi di manutenzione straordinaria, messa in sicurezza, rimozione amianto e adeguamento sismico:
• 150 milioni di euro del c.d. decreto del Fare: nonostante si tratti di fondi già stanziati nel 2013, tutti i cantieri sono iniziati quest’anno e allo stato, su 632 interventi complessivi:
• il 93,2% dei cantieri sono stati avviati e sono attualmente “aperti”
• il 4,2% dei lavori si sono conclusi
• il 2,6% gli interventi non sono stati ancora avviati
• per lo scorrimento delle graduatorie regionali non finanziate con il decreto del Fare, il Governo ha stanziato, con il Decreto-Legge n. 66 del 2014, 400 milioni di euro che finanzieranno 1.639 interventi ulteriori. Con delibera CIPE del 31 luglio 2014 è stata definita una precisa tempistica che porterà gli enti locali ad appaltare i lavori entro il 31 dicembre 2014 con procedure agevolate. Pertanto, da gennaio 2015 avremo altri 2 mila cantieri attivi, se consideriamo anche gli interventi che si potranno finanziare con le economie di gara.
#Scuole Nuove • 122 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015. Tali risorse sono state destinate dal Decreto-Legge n. 66 del 2014 per consentire ai Comuni che hanno risposto all’appello del Presidente del Consiglio (circa 4 mila) la deroga al patto di stabilità, che coinvolgerà 404 scuole con progetti dall’importo medio di 1 milione di euro ciascuno. Una leva che consentirà complessivamente di sviluppare circa 400 milioni di investimento complessiva per ciascuna delle due annualità.
#Scuole Belle
Nel 2014 sono stati stanziati 150 milioni di euro per finanziare interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale delle scuole. Si interverrà su 7.751 plessi nel 2014 e su oltre 10 mila nel 2015 con un investimento di 300 mln.. Entro il 30 settembre saranno conclusi il 35% dei lavori previsti e già avviati nel mese di agosto.
# Altre misure di edilizia
• 300 milioni di euro INAIL: pur trattandosi di risorse già stanziate con il decreto n. 69 del 2013, è in corso la fase di programmazione e di definizione delle modalità per l’utilizzo di tali risorse. Trattandosi infatti di risorse che devono essere utilizzate in modo da garantire una rendita, l’accordo sinora raggiunto con l’INAIL è quello di utilizzarle per progettare, almeno una in ogni provincia, scuole “innovative” e all’avanguardia anche da un punto di vista didattico.
• mutui per l’edilizia: anche questa misura era già stata prevista dal decreto n. 104 del 2013. Tuttavia solo ora si sta arrivando a definire la programmazione regionale che porterà nel 2015 ad appaltare opere per un valore di circa 800/900 milioni di euro e che presuntivamente riguarderanno circa 4 mila scuole.
• con l’ultimo intervento normativo (c.d. Sblocca Italia) tutte le procedure in materia di edilizia potranno rientrare tra quelle di urgenza ed avere un regime fortemente semplificato nelle modalità e nei termini di attuazione
• Sono infine previste altre risorse destinate all’edilizia scolastica derivanti dall’8 per mille e quelle che saranno previste dalla programmazione 2014-2020 dei fondi strutturali.

EDILIZIA SCOLASTICA
Non saremo soddisfatti fino a quando l’ultima scuola dell’ultimo comune d’Italia non avrà banda larga veloce, wi-fi programmabile per classe (con possibilità di disattivazione
quando necessario) e un numero sufficiente di dispositivi mobili per la didattica, anche secondo la modalità sempre più adottata del BYOD (Bring Your Own Device, “porta il tuo dispositivo”, per cui la didattica viene fatta sui dispositivi di proprietà degli studenti, e le istituzioni intervengono solo per fornirle a chi non se lo può permettere). Ma per realizzare questo, l’unica soluzione possibile è uno sforzo collettivo, una iniziativa nazionale di co-investimento per la dotazione tecnologica della scuola, in sinergia tra risorse nazionali, regionali e private. È questa iniziativa che il Governo intende promuovere nel Paese entro la fine dell’anno. Coerentemente con questo, in collaborazione con le Regioni, svilupperemo piani straordinari per la connettività delle “aree interne”. Per partire proprio dai contesti più isolati, dove è meno semplice, anche sfruttando i “centri scolastici
digitali”, ovvero la possibilità di collegare le scuole dei centri più piccoli e remoti con “scuole madre” attraverso le tecnologie digitali. Ad una azione per la connettività coordinata da Ministero dello sviluppo Economico in sinergia con le Regioni, vogliamo associare il rifinanziamento di un bando per il wi-fi nelle scuole anche per il 2015 e 2016, per un totale di circa 15 milioni di Euro. Infine, occorre lavorare per ridurre i costi per le famiglie, ad esempio in acquisti connessi a editoria. Questo, in parte, permetterà a più famiglie di rimodulare una parte delle loro spese sull’acquisto o di dispositivi mobili per la didattica, per abilitare modelli BYOD anche attraverso schemi agevolati.
Una scuola più connessa tramite il digitale è una scuola più aperta anche fisicamente.
La precondizione per tutto ciò è chiaramente avere scuole sicure e belle. Ma è fondamentale fare un passo ulteriore, che permetta una contaminazione reciproca tra scuola e territorio, nei contenuti, nei mezzi e anche nei fini. Prevedere l’apertura delle
scuole oltre l’orario curriculare contribuisce a combattere l’abbandono scolastico, aiuta la scuola a promuovere l’ingresso di esperienze emergenti di educazione informale, e permette di creare una collaborazione attiva tra scuola e comunità locale, anche a favore della seconda, in particolare in contesti svantaggiati. Per far sì che ciò venga realizzato non solo dai docenti, occorre coinvolgere le associazioni che si occupano di progetti
educativi, culturali e sociali diretti a ragazzi e famiglie e dare a famiglie e associazioni del territorio (terzo settore) luoghi fisici per sviluppare progettualità.
Promuovere l’apertura delle scuole oltre l’orario curriculare non è una novità: molti istituti
hanno sviluppato progetti di grande successo in questo senso, in maniera spontanea grazie all’entusiasmo di dirigenti, docenti e gruppi di genitori. Ma è necessario sostenere
questa visione: sia attraverso risorse economiche, sia tramite semplificazioni normative e
amministrative. Anche grazie al Forum Nazionale delle Scuole Aperte, uno strumento creato con ANCI e Vita, lo scorso anno, per condividere e facilitare le esperienze di “scuola aperta”, vogliamo sostenere le scuole nella risoluzione di problematiche assicurative con gli enti locali o di questioni organizzative rilevanti, come ad esempio garantire la sostenibilità delle attività nel tempo extra-curriculare attraverso l’affitto dei propri spazi a realtà esterne. E il piano straordinario di assunzioni ci aiuterà – in particolare per la scuola primaria – ad avere i docenti necessari per organizzare il tempo pieno (vedi Capitolo 1). In occasione del prossimo incontro del Forum Nazionale delle Scuole Aperte, svilupperemo insieme ai dirigenti delle linee guida operativa, e una proposta concreta di semplificazione. Parlare di scuola aperta significa anche, in un senso più ampio, cominciare a ripensare l’interfaccia della scuola stessa. Oltre alle mura dell’edificio scolastico, i primi alleati saranno i “laboratori del territorio”, pubblici e privati (come i Fab Lab e e living labs, o ancora gli incubatori, ecc.), per cui prevedremo una strategia di accreditamento e una azione dedicata di “voucher innovativi” a valere su Fondi PON, in sinergia con le nostre azioni di potenziamento dei laboratori tecnologici. Saranno nuovi spazi formativi a disposizione della scuola, ma non sotto la sua gestione diretta, se non
attraverso modelli “a rete”. Aprire la scuola significa, infine, mobilitare persone e competenze esterne al servizio del suo miglioramento. Vogliamo definire un piano di “Servizio civile per la Buona Scuola”, creando un sistema di incentivi “leggeri” (come crediti formativi per studenti universitari) e liste di formatori per l’accreditamento di individui all’attività volontaria nella scuola. Questo sistema beneficerà di una collaborazione con il terzo settore, tramite un patto inter-generazionale (per esempio, con insegnanti e altri professionisti in pensione, che a più riprese hanno chiesto di avere questa opportunità), e con imprese – molte hanno programmi di Responsabilità Sociale d’Impresa che prevedono banche del tempo per i propri dipendenti a cui attingere per missioni specifiche, come ad esempio percorsi di alfabetizzazione digitale. Scuola aperta vuole essere quindi l’inizio di un percorso, da alcuni istituti già cominciato con vigore, di rinnovamento dei tempi e degli spazi della scuola: una visione fatta di riutilizzo di spazi pubblici, di nuove esperienze formative, di protagonismo delle persone all’interno della comunità.
Una scuola aperta è una scuola inclusiva anzitutto con coloro che hanno più difficoltà. Per questo sarà importante prestare una particolare attenzione alle politiche di sostegno ai ragazzi che presentano delle disabilità.
L’insegnamento su posti di sostegno è a favore dei bambini e dei ragazzi che presentano disabilità o handicap. La necessità del sostegno viene riconosciuta sulla base della diagnosi fatta da una Commissione medica presso l’ASL. La diagnosi stabilisce se la situazione di handicap è lieve, media o grave. Questo determina l’assegnazione di un docente sul sostegno rispettivamente nel rapporto di 1 a 4 (handicap lieve), di 1 a 2 (handicap medio) o di 1 a 1 (handicap grave) anche sulla base delle valutazioni dei gruppi di lavoro sull’handicap (GLH). La legge finanziaria del 2007 aveva previsto un tetto massimo nell’assegnazione del contingente sul sostegno, ma la Corte Costituzionale ha riconosciuto nel 2010 il diritto del disabile all’istruzione come un diritto fondamentale. Anche alla luce di questo, con il decreto n. 104 del 2013 è stato previsto un piano triennale di assunzioni per il periodo 2013-2015 che porterà ad un incremento complessivo di circa 26 mila posti di sostegno sull’organico di diritto. Con le oltre 13 mila assunzioni di quest’anno e con le circa 8 mila del prossimo, l’organico di diritto dei docenti di sostegno arriverà complessivamente a circa 90 mila. E tuttavia, ciò ridurrà solo, senza eliminarlo, il divario tra organico di fatto e organico di diritto sul sostegno, che – senza ulteriori interventi resterà pari a circa 21 mila insegnanti.
Alle GAE dovrebbero essere iscritti oggi circa 14 mila persone con la specializzazione sul sostegno. L’utilizzo di personale specializzato risponde al diritto dell’alunno disabile all’istruzione e alla sua crescita personale e risponde all’esigenza delle famiglie ad avere docenti formati e preparati rispetto alle singole patologie. Anche e soprattutto per il sostegno, il continuo ricorso a supplenze non sembra aver favorito la continuità didattica
e il rapporto di fiducia tra i docenti, le famiglie e questi ragazzi che hanno più degli altri bisogno di attenzioni e di insegnamenti specifici. La possibilità di un organico di sostegno stabile anche tra reti di scuole potrà aiutare a rispondere alle esigenze di garanzia dei diritti degli alunni e di miglioramento dell’organizzazione territoriale dei rapporti con le famiglie.
C’è un ultimo passo da fare per la costruzione di una scuola realmente aperta, e questa volta è un passo che l’amministrazione centrale stessa, il Ministero dell’Istruzione, deve compiere. Lo stesso Ministero che troppe volte è “collo di bottiglia” nell’attuazione, nella diffusione o spesso semplicemente nella spiegazione del cambiamento.
Non ce lo possiamo più permettere.
Con La Buona Scuola vogliamo segnare un cambiamento legandolo ad un processo chiave nell’innovazione amministrativa: la digitalizzazione. Un processo intangibile, ma di grande impatto organizzativo ed economico: non a caso il Governo ha identificato proprio nella digitalizzazione una delle vere leve per la “spending review”. La digitalizzazione non è però solo un modo per smaterializzare processi o risparmiare su acquisti, ma serve per migliorare l’amministrazione stessa e renderla un vero facilitatore per tutto il mondo della scuola. Il Ministero ha bisogno di raccogliere e far circolare meglio le informazioni, di far risparmiare tempo e denaro ai dirigenti amministrativi delle scuole, dando adeguato spazio a quello che l’ecosistema della scuola sviluppa, come pratiche, progetti e contenuti didattici, in modo che siano da ispirazione o facilmente riutilizzabili. Serve inoltre utilizzare i moderni strumenti per monitorare in modo efficiente e sistematico l’impiego delle risorse per misurarne l’impatto, e quindi decidere meglio sul loro uso futuro.
per migliorare. Dobbiamo dare concretezza a questi processi. Questo è solo l’inizio di un lungo percorso di ricostruzione di fiducia tra amministrazione e cittadini: qualcuno lo chiama “governo aperto”, per noi è una priorità per la scuola, al pari dell’innovazione didattica o dell’assunzione di decine di migliaia di docenti.
Prima di tutto, si tratta di aprire la scuola nel suo potenziale di patrimonio informativo
pubblico: la scuola è la più grande rete pubblica del Paese, un patrimonio straordinario di
conoscenza. Per capire quanto questa apertura sia importante, proviamo ad immaginare un dibattito pubblico continuo sulla scuola che sia informato, basato sui fatti che i dati raccontano, e non solo su opinioni, impressioni, speranze, paure. Sarebbe molto più di un dibattito. Sarebbe la perfetta integrazione del processo di miglioramento di cui abbiamo parlato in precedenza. O ancora, immaginiamo come, a partire dalle informazioni che raccogliamo ogni anno, questa creatività possa sprigionarsi in diverse forme: una competizione di creatività tra studenti, un momento in cui amministrazione e comunità di pratica si incontrano per riprogettare insieme un servizio pubblico. Il Ministero lavorerà per fare in modo che già entro la fine dell’anno sia pubblicata una parte quantitativamente e qualitativamente molto rilevante di dati raccolti per scopi amministrativi e gestionali.
Questi saranno pubblicati in formato aperto e con la maggiore granularità possibile. Non è un lavoro semplice, perché le nostre banche dati non erano state costruite, nel tempo, per
essere pubbliche. Ma il tempo di aprire il Ministero è arrivato.
Per aumentare l’impatto dell’apertura, lanceremo in autunno il primo hackathon sui dati del Ministero, dalle stanze del Ministero. Sarà organizzato in collaborazione con tutte le comunità che costruiscono consapevolezza e conoscenza sul valore dei dati aperti. Dobbiamo aumentare la comprensione e l’utilizzo dei nostri dati, perché non esiste trasparenza fine a se stessa, e non si realizzano efficienze senza coinvolgere in maniera
credibile studenti e mondo della scuola, esperti, cittadini, imprese, giornalisti. Per l’hackathon, a partire dal rilascio di dati del Ministero, in 24 ore si lavorerà – e i nostri ragazzi saranno protagonisti – alla creazione di applicazioni: una app, un nuovo servizio ai cittadini, una visualizzazione interattiva. Saranno inoltre coinvolte tante altre amministrazioni, compresi l’Istat e il Garante per la Privacy. Tutti hanno l’esigenza di fare comprendere i propri dati, le sfide di bilancio, di amministrazione, di policy. Il MIUR ha il desiderio di coinvolgere i ragazzi in quella che diventerà a regime una Data School nazionale. Perché lavorare con i dati è una competenza chiave del nostro tempo, e utilizzarli per produrre inchieste, storie, visualizzazioni i modi migliori per applicarla.
I dati non parlano da soli. Aprire e pubblicare dati o comunicare informazioni sulla scuola porta con sé sfide legate al loro racconto, comprensione, confronto, e contestualizzazione: in poche parole, al design dei servizi pubblici stessi. Il MIUR metterà a disposizione una piccola parte delle proprie risorse per organizzare premi legati al design innovativo dei servizi, coinvolgendo creativi, studenti, docenti e il personale della scuola. Utilizzare le moderne soluzioni del design di servizi sarà centrale nello sviluppo di piattaforme essenziali per il rapporto con i cittadini, come Scuola in Chiaro, già utilizzata da ogni famiglia Italiana per l’iscrizione online dei propri figli. La nuova “Scuola in Chiaro 2.0” sarà la vetrina di ogni scuola verso l’esterno, e allo stesso tempo supporto ai processi gestionali da parte degli uffici amministrativi di ogni scuola. Vogliamo che la nuova piattaforma restituisca la storia più completa, dia giustizia alle tante informazioni raccolte nel sistema gestionale del Ministero e sia la migliore esperienza possibile per chi voglia conoscere meglio la scuola - genitori per iscrivere i propri figli, professionisti per collaborare, ad esempio.
CONDIVIDERE E RIUTILIZZARE, INSIEME
Ogni docente non si deve sentire solo nella sfida di rendere l’insegnamento moderno ed efficace. Raccoglieremo e condivideremo le migliori esperienze, già a partire dal prossimo anno scolastico. Ciò per permettere che ogni euro investito in un’iniziativa del Ministero dell’Istruzione, ma anche negli sforzi didattici sviluppati indipendentemente dalle scuole e dai privati impegnati con essa, possa moltiplicare le proprie ricadute sul tutto il sistema educativo. Stiamo scommettendo sul fatto che la scuola abbia già in sé le soluzioni per
il suo rinnovamento. In Europa questa visione si chiama “Opening Up Education”, per
rinforzare il significato della parola “riuso”, ponendo chi innova al centro del nostro sistema. E perché questi progetti siano il germe di condivisione con il territorio intorno alla scuola, perché essa faccia conoscere le 4 5 proprie attività e ne misuri l’impatto. Questa è inoltre l’occasione per iniziare a gestire alcuni dei servizi chiave per l’ecosistema scolastico in un modo nuovo: il MIUR non deve commissionare o acquisire una piattaforma, potenzialmente lontana dalle vere esigenze della scuola e il cui aggiornamento è gravoso se fatto centralmente. Insieme alle reti di scuole, deve sviluppare uno spazio neutro e aperto, e usare i docenti e il personale della scuola non come meri destinatari finali, ma come co-gestori delle piattaforme. Questo modo di lavorare sarà abilitato da fondi dedicati e da quote premiali del MOF (Vedi capitolo 6).
Il patrimonio informativo della scuola consiste anche di accordi, protocolli d’intesa nonché
linee guida, indicazioni, circolari, direttive, decreti e regolamenti. Spesso un patrimonio
difficilmente raggiungibile dal sito www.istruzione.it. Una difficoltà a rinvenire e comprendere tali testi, o a verificarne l’aggiornamento o validità porta quotidianamente il mondo della scuola a preferire fonti non istituzionali come loro riferimento. Assicurare piena comprensione e chiarezza su quanto il MIUR pubblica è un’azione di apertura e trasparenza di pari dignità rispetto all’apertura dei dati. Ecco quindi che l’attuazione e la comprensione degli atti e le regole dettate dal Ministero passa in primo luogo dalla loro elaborazione e presentazione: ignorantia legis non excusat, ma di certo la facilità di accesso e la presentazione in un linguaggio chiaro e comprensibile aumenta di molto la probabilità che norme e indicazioni saranno pienamente attuata. All’estero li chiamano good law e nudging, noi lo chiamiamo semplificazione, accessibilità, attuazione.
Da subito il MIUR elaborerà delle Linee Guida perché i propri atti (decreti, direttive e regolamenti) siano elaborati in un linguaggio comprensibile e di facile attuazione. E una volta pubblicati, siano riorganizzati e presentati in modo da migliorare la vita di chi, quotidianamente, deve districarsi nella giungla dei provvedimenti.
DIGITALIZZAZIONE DEI SERVIZI AMMINISTRATIVI
La scuola cambia non solo in classe, ma anche nelle segreteria amministrative. Negli ultimi anni sono già state introdotte semplificazioni che porteranno le scuole a non doversi più occupare del pagamento della TARSU, del servizio mensa, delle visite fiscali (sulle quali il Ministero effettua oggi una forfettizzazione a favore delle Regioni). Con la digitalizzazione si è iniziato inoltre ad agevolare lo svolgimento delle funzioni proprie del personale amministrativo, soprattutto per quanto riguarda la gestione del trattamento accessorio (ormai completamente gestito dal portale NoiPA) e delle supplenze brevi. Ciò comporterà, quando tutto questo andrà a regime, una riduzione del carico di lavoro attribuito ad ogni assistente amministrativo, che oggi sono complessivamente poco più di
48 mila, con più di 5 mila supplenze assegnate ogni anno e un turn over di circa mille persone all’anno.
A mano a mano che la digitalizzazione delle scuole diventerà più capillare, la smaterializzazione e l’efficientamento amministrativi potranno portare ad una considerevole riduzione del peso sugli assistenti amministrativi, ad un ridimensionamento progressivo del loro numero, e pertanto ad un possibile risparmio di risorse che potranno essere reinvestite nella scuola, proprio – ad esempio – per migliorarne ulteriormente i servizi.
Questo approccio, e con esso questo insieme di proposte, concretamente realizzabili, è solo il punto di partenza per una politica strutturale legata all’innovazione digitale del Ministero e del Governo. Che riguarderà ad esempio la costruzione, con le scuole, di sinergie di spesa nello sviluppo e diffusione di software gestionali; o ancora il modo stesso in cui collocheremo in futuro i ruoli legati all’innovazione digitale nell’organico amministrativo. Entro la fine del 2014 sarà pubblicato il piano del MIUR in questo senso.
Non consideriamo queste azioni una lista dei sogni. Per noi sono l’avvio di un lungo percorso di ricostruzione di fiducia, che parte dalla scuola e si propaga in tutto il Paese.


Ricordiamo che fino al 15 novembre è possibile partecipare alla consultazione su www.labuonascuola.gov.it per definire insieme al MIUR le nuove direttive e prerogative di una Buona Scuola.

mercoledì 15 ottobre 2014

Dossier 'L'albero di Lullo' - II parte - Conoscenza: tradizione e innovazione

Il tema della conoscenza diventa fattore di competitività anche nel settore agricolo. Solo l’imprenditore in grado di organizzarsi al meglio, così da poter dedicare buona parte del suo tempo alla conoscenza del mercato, dei concorrenti, degli acquirenti, delle innovazioni, riesce a costruire e a difendere il proprio vantaggio competitivo nel lungo periodo. Questo confrontandosi con le aziende migliori e fa parte di reti di relazioni che permettono lo scambio di conoscenze.
Il settore dell’agricoltura, pur essendo uno dei settori produttivi più antichi e tradizionali del paese, è anche uno di quelli maggiormente investiti dall’innovazione: dai green jobs, alla cooperazione internazionale. L´imprenditore agricolo che diviene manager dedica tempo alla conoscenza, organizzando reti con altre imprese per migliorare l´efficienza del processo e l´accesso al mercato, si affida a "innovation partner" per la crescita della propria impresa.

Ne abbiamo parlato con il Dott. Luigi Adinolfi, imprenditore agricolo e Presidente del marchio Amaro Ulivar, l’amaro alle olive di Calabria che nasce nell’Alto Jonio Cosentino, una terra di confine tra la Calabria e la Basilicata. La qualità dei suoi ingredienti, l’innovazione e la particolarità del prodotto hanno portato l’Amaro Ulivar a conseguire in poco tempo diversi riconoscimenti e premi enogastronomici, sia regionali che nazionali. Tra questi l’Oscar Green Nazionale 2012 di Coldiretti con l'alto Patronato della Presidenza della Repubblica, consegnato dal Ministro per le Politiche Agricole Mario Catania e il Premio all’Imprenditoria Enogastronomica 2013 dell’Associazione A.c.t.a. Ungra di Lungro (Cs).




Il tema della conoscenza diventa fattore di competitività anche nel settore agricolo. Solo l’imprenditore in grado di organizzarsi al meglio, così da poter dedicare buona parte del suo tempo alla conoscenza del mercato, dei concorrenti, degli acquirenti, delle innovazioni, riesce a costruire e a difendere il proprio vantaggio competitivo nel lungo periodo.
Come è possibile confrontarsi con le altre realtà imprenditoriali del settore ed entrare a far parte di reti di relazioni che permettono lo scambio di conoscenze?

Il confronto con le altre realtà imprenditoriali deve avvenire costantemente ed essere ripetuto nel tempo. Per i nuovi operatori che si affacciano a qualunque iniziativa imprenditoriale, che sia agricola o meno, la prima cosa da fare (oltre a essere costantemente aggiornati e studiare), è guardare a chi già prima di loro ha fatto qualcosa nel territorio in cui operano. Capire come un territorio vive le sue realtà imprenditoriali è il primo passo per potersi affermare dentro e al di fuori di esso.
Per quanto riguarda il confronto diretto e soprattutto lo scambio di conoscenze utili allo sviluppo del proprio business (quel “fare rete” tanto citato nei discorsi che si fanno dalle nostre parti, ma che troppo poco viene applicato nei fatti dagli imprenditori locali), non bisogna lesinare lo scambio di informazioni utili al lavoro vero e proprio; serve soprattutto l’essere solidali tra imprenditori, andando anche a scardinare i meccanismi di “gelosia” e “attaccamento al proprio”, che molto spesso caratterizzano la mentalità delle realtà locali del Sud. Meccanismi retrogradi e campanilisti che fortemente contrastano le possibilità di scambio di conoscenze, e pertanto di crescita, delle imprese e dei territori in cui esse operano. La rete, lo scambio di informazioni, deve avvenire prima nei fatti e poi sulle carte. Ben vengano gli eventi e i momenti organizzati dalle associazioni di categoria, utilissime per fare nuove conoscenze imprenditoriali, ma prima di tutto deve cambiare la mentalità degli imprenditori del Sud, a partire dalle piccole azioni, quali possano essere la semplice condivisione, con un altro imprenditore, di informazioni utili al lavoro, senza guardare “l’altro”, come un potenziale concorrente, ma solo come un alleato nello sforzo di far crescere il proprio territorio.

• Possiamo dire quindi che l'imprenditore agricolo diventa sempre più un manager della conoscenza? Quali strumenti per un'efficace pianificazione e gestione delle innovazioni?
L’imprenditore Agricolo oggi è una figura a 360 gradi, che innanzitutto deve saper guardare al passato e alle tradizioni che lo hanno preceduto. Mi piace sempre pensare che se sai bene da dove vieni sai anche dove potrai arrivare. Ma le tradizioni, il saper fare degli antichi, la conoscenza della terra e dei mestieri, devono essere inevitabilmente affiancate dalla mentalità dei giovani e soprattutto dalla loro conoscenza delle nuove tecnologie, oltre che dalla capacità di valutare i mercati e le opportunità che possono derivare dall’unione della tradizione con le innovazioni tecnologiche e il mercato globale; materie in cui le nuove generazioni sono sempre un passo avanti rispetto a chi le ha precedute.

Quanto è importante per un’azienda agricola la formazione per rimanere al passo coi tempi?
Fondamentale, e deve andare in entrambe le direzioni, verso il passato, per sapersi raccontare al cliente, verso il futuro, per restare al passo con i tempi e per anticiparli laddove possibile.

Innovazione e tradizione: un binomio che diventa connubio perfetto dunque anche nel settore imprenditoriale e agricolo. Come si realizza tutto ciò nell’esperienza Ulivar?
Con l’amaro Ulviar vivo quotidianamente questo connubio, essendo Ulivar l’amaro che faceva la mia famiglia, a partire dal mio bisnonno materno ed essendo ora un Amaro che ha un nome, un’ etichetta e un brand da valorizzare. Mi viene spesso chiesto come mi sia venuta in mente l’idea di un amaro all’olio e puntualmente chiarisco, con piacere, che non ho inventato nulla, ho solo dato nuovo respiro e innovato una tradizione antica della mia famiglia.



venerdì 10 ottobre 2014

Rapporto MIUR 'La buona scuola' - CAP 2 - Le nuove opportunità per tutti i docenti: formazione e carriera nella buona scuola

Un piano di assunzioni straordinario e l’indizione di un nuovo concorso possono funzionare solo a condizione di introdurre nel mondo della scuola più dinamismo e regole nuove, che evitino la cristallizzazione di ruoli e funzioni e valorizzino invece la professionalità dei docenti. I docenti devono insegnare ai ragazzi a mettersi in gioco, ma per farlo credibilmente devono poter credere, loro per primi, che mettersi in gioco paga. E lo Stato, oggi, ha il dovere di risolvere questa equazione. Per fare questo occorre puntare su nuove parole d’ordine.
Parole come formazione in servizio, che non deve essere più vista come un obbligo burocratico nei confronti dell’Amministrazione ma come una reale occasione di crescita personale e professionale, grazie alla quale offrirsi una possibilità di mobilità professionale e di carriera e offrire una preparazione migliore per i ragazzi. Una formazione che diventa quindi, per ogni docente, un diritto nei propri confronti e un dovere nei confronti degli studenti. O nuove parole d’ordine come “merito” – che abusata negli anni in tv o sui giornali, e poco praticata invece nella pubblica amministrazione e anche nella scuola – deve diventare, al posto della semplice anzianità, il criterio principale per l’avanzamento di carriera dei docenti della scuola.
Quel merito che serve per ridare dignità e fiducia alle decine di migliaia di insegnanti che ogni giorno si impegnano con competenza e passione a restare al passo coi tempi per assicurare che i ragazzi a cui insegnano crescano a loro volta sintonizzati col mondo di oggi.
Il rafforzamento del profilo professionale dei docenti inizia dalla codificazione delle competenze dei docenti, chiaramente definite per ogni stadio della carriera d’insegnamento. Il ruolo dei docenti nella scuola è rapidamente cambiato: oggi ci si aspetta che i docenti gestiscano classi sempre più multiculturali, integrino gli studenti con bisogni speciali, utilizzino efficacemente le tecnologie per la didattica, coinvolgano i genitori, e siano valutati e responsabilizzati pubblicamente.
Ci si aspetta inoltre che non insegnino solo un sapere codificato (più facile da trasmettere e valutare), ma modi di pensare (creatività, pensiero critico, problem-solving, decision- making, capacità di apprendere), metodi di lavoro (tecnologie per la comunicazione e collaborazione) e abilità per la vita e per lo sviluppo professionale nelle democrazie moderne. Aspettative su cui in buona parte non sono stati preparati dai loro percorsi di studio e che devono necessariamente essere sostenute da un solido sistema di sviluppo professionale. Come oramai consolidato a livello internazionale (nonché esplicitamente richiesto dalla Comunicazione della Commissione UE “Rethinking Education” del 2012), i sistemi educativi devono essere fondati su
una visione condivisa di qualità del docente. Dobbiamo dire con chiarezza cosa ci aspettiamo dal corpo docente in termini di conoscenze, competenze, approcci didattici e pedagogici, per assicurare uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale e garantire uno sviluppo uniforme
della professione di docente. Non è un lavoro facile, o rapido. Per farlo, un gruppo di lavoro dedicato e composto da esperti del settore lavorerà per un periodo di tre mesi per formulare il quadro italiano di competenze dei docenti nei diversi stadi della loro carriera, in modo che essi siano pienamente efficaci nella didattica e capaci di adattarsi alle mutevoli necessità degli studenti in un mondo di rapidi cambiamenti sociali, culturali, economici e tecnologici.

Quali competenze per i nostri docenti

Per poter offrire agli studenti una formazione adeguata alla società e al mercato del lavoro che dovranno affrontare, i docenti devono essere i primi a potersi giovare di una formazione costante. Un tempo si preferiva parlare di “aggiornamento” del personale scolastico, oggi si parla invece di “formazione in servizio” o di “sviluppo professionale”. Ma i limiti sono rimasti gli stessi.
Due ordini di problemi ostacolano un percorso di formazione continua da parte dei docenti. Anzitutto, sul fronte della didattica, le occasioni di formazione, che siano svolte completamente
in presenza o in parte online (blended) – risultano troppo spesso frontali, poco efficaci e in generale non partecipate. Che si tratti di italiano, materie tecnologiche o nuove metodologie didattiche la formula non cambia, raramente incoraggia un confronto interattivo, né si preoccupa di verificare le competenze effettivamente acquisite al termine del percorso. Spesso, inoltre, il livello di standardizzazione del “pacchetto formativo” determina la sua inefficacia. Sul piano organizzativo, infine, la formazione interrompe la continuità didattica, e richiede supplenze brevi per coprire le assenze dei docenti. La combinazione di questi due fattori finisce spesso, inevitabilmente, per far percepire ai docenti la loro formazione in servizio quasi come un intralcio burocratico cui dover adempiere o comunque come un dovere da assolvere in vista di un avanzamento di carriera, piuttosto che non come un’opportunità per sviluppare la propria professionalità e per migliorare la qualità del lavoro da svolgere giorno dopo giorno con gli studenti. E non è un caso, quindi, che la partecipazione alle attività di sviluppo professionale degli insegnanti italiani sia risultata una delle più basse tra i Paesi partecipanti all’indagine TALIS 2013 (75% Italia, 88% media TALIS), con un calo di 10 punti percentuali rispetto al 2008.
Come intervenire, allora? Anzitutto, aggiornando lo scopo – e quindi i contenuti – della formazione in servizio. Che deve diventare lo strumento che permette di qualificare la professionalità dei docenti alla luce delle possibilità di carriera introdotte dal nuovo contratto. Al docente va offerta l’opportunità di: continuare a riflettere in maniera sistematica sulle pratiche didattiche; di intraprendere ricerche; di valutare l’efficacia delle pratiche educative e se necessario modificarle; di valutare le proprie esigenze in materia di formazione; di lavorare in stretta collaborazione con i colleghi, i genitori, il territorio. Esiste infatti il rischio che le nuove funzioni legate all’autonomia abbiano distolto l’attenzione dal compito specifico della professionalità che è, e sempre resterà, la relazione con lo studente. Dobbiamo per questo, prima di ogni altra cosa, valorizzare i docenti che ritengono prioritario il miglioramento della qualità dell’insegnamento/ apprendimento attraverso il lavoro in aula. Per fare questo, bisogna rendere realmente obbligatoria la formazione, e disegnare un sistema di Crediti Formativi (CF) da raggiungere ogni anno per l’aggiornamento e da legare alle possibilità di carriera e alla possibilità di conferimento di incarichi aggiuntivi. Questa formazione obbligatoria non potrà essere calata dall'alto, ma dovrà essere definita a livello di Istituto. Inoltre, la nuova formazione permanente dovrà fondarsi sul superamento di approcci formativi a base teorica, e dovrà essere mutata invece in un modello incentrato sulla formazione esperienziale tra colleghi, attraverso la creazione di una rete di formazione permanente dei docenti. La nuova formazione farà leva su quattro elementi fondamentali. Anzitutto il ruolo centrale dei docenti nel coordinamento, perché un docente è il formatore più credibile per un altro docente. Secondo, la valorizzazione delle associazioni professionali dei docenti. Terzo, la centralità di reti di scuole per raggiungere ogni docente e l’identificazione di poli a livello regionale, su cui concentrare partenariati di ricerca per l’innovazione continua. Quarto, il ruolo cruciale riconosciuto, all’interno della singola scuola, agli “innovatori naturali”, che dovranno avere la possibilità di concentrarsi sulla formazione, e che saranno premiati con una quota dei fondi per il miglioramento dell’offerta formativa che verrebbe vincolata all’innovazione didattica e alla capacità di miglioramento, valutata annualmente. Questa nuova impostazione permetterà anche di agevolare alcuni dei momenti organizzativi – dal controllo qualità e certificazione degli enti che oggi erogano la formazione, all’individuazione dei momenti più opportuni per organizzare i momenti di formazione in funzione delle esigenze della didattica. Le reti di scuole, poi, in parte già esistenti, devono essere organizzate in modo che siano inclusive (tutte le scuole appartengono ad una rete) e trasversali (al suo interno la rete comprende scuole di ogni ciclo). Infine, un’attenzione particolare, ma coerente con la nuova impostazione prevista qui sopra, merita la formazione dei docenti al digitale. L’attuazione di una didattica integrata, moderna e per competenze si basa sulla necessità di offrire ai docenti gli strumenti necessari per sostenerli nelle loro attività didattiche e progettuali. Occorre organizzare, riconoscere e valorizzare
i molti progetti e le reti di docenti già coinvolte sul tema. Queste reti hanno bisogno di sostegno continuo e di punti di riferimento, anche e soprattutto a livello regionale e nazionale, per sostenere e dare continuità alle pratiche di innovazione didattica. Le reti di scuole individueranno un docente di riferimento per ogni rete: tale docente catalizzatore sarà referente per i propri colleghi e loro sostegno per le pratiche di innovazione didattica.

Non basta che diamo alla scuola i docenti che mancano all’appello. Dobbiamo anche far uscire i docenti dal “grigiore” dei trattamenti indifferenziati. Dobbiamo liberarci da quella standardizzazione che, negli ultimi decenni, inevitabilmente ha significato competizione al ribasso e frustrazione di riflesso. Dobbiamo avere il coraggio – a dispetto dei numeri della scuola, così complessi – di smettere di guardare solo ai numeri. E, piuttosto, scommettere sulla voglia di decine di migliaia di docenti – già di ruolo o in attesa di averlo, freschi di studi o ricchi di esperienza, che lavorano nel miglior liceo di una grande città o nell’istituto tecnico di un piccola provincia – di tornare, oggi, a investire su loro stessi. Perché è questa l’unica vera condizione per poter tornare veramente, già domani, a investire sugli studenti. Scommettere, però, non vuol dire per lo Stato restare immobile. Non vuol dire procrastinare. Vuol dire, al contrario, smettere di accontentarsi. Vuol dire considerare i docenti non come una massa indistinta, a cui lo Stato ha chiesto decenni fa di ripetere ogni giorno lo stesso “compito in classe”. Vuol dire, invece, cominciare a considerarli finalmente come persone e come professionisti risposte ad assumersi impegni diversi, e a cui lo Stato chiede oggi di mettersi al servizio della scuola e dei colleghi. E a cui lo Stato chiede di non accontentarsi delle prospettive di carriere fondate sul mero dato dell’anzianità.

PREMIARE L´IMPEGNO.
COME FUNZIONA OGGI LA CARRIERA DEI DOCENTI
(artt. 63 – 71 e 77 – 90 CCNL)
La progressione economica (vale a dire “l’aumento di stipendio”) dei docenti si sostanzia oggi in un “automatismo” legato solo all’anzianità di servizio sulla base delle “posizioni stipendiali” raggiunte. Le “posizioni stipendiali” sono 6 in totale, ovvero quella iniziale e poi, progressivamente, quella
del 9° anno, del 15° anno, del 21° anno, del 28° anno e infine quella del 35° anno. Ad ogni scatto, dunque, corrisponde un aumento automatico dello stipendio, indipendentemente da una valutazione sulla qualità del lavoro svolto.

Per fare questo è necessario ripensare la carriera dei docenti, per introdurre elementi di differenziazione basati sul riconoscimento di impegno e meriti oltre che degli anni trascorsi dall’immissione in ruolo. Occorre quindi, prima di ogni altra cosa, un nuovo status giuridico ei docenti, che consenta incentivi economici basati sulla qualità della didattica, la formazione in servizio, il lavoro svolto per sviluppare e migliorare il progetto formativo della propria scuola.
Per status giuridico s’intende quel complesso di disposizioni (contenute nel Testo unico della scuola, nella contrattazione collettiva e in ulteriori norme speciali) che regolano il rapporto di lavoro e, quindi, le norme relative all’assunzione in servizio, allo svolgimento della prestazione lavorativa, alla cessazione del rapporto di lavoro.
Nello specifico, rientrano nello status giuridico tutte le norme che disciplinano:
A. in una fase iniziale, il reclutamento e la formazione iniziale del personale;
B. la funzione docente;
C. il trattamento economico e la progressione di carriera del personale docente;
D. i diritti e i doveri dei docenti (mobilità, congedi parentali, ferie, festività, permessi, assenze per
malattie, aspettative, diritti sindacali, orario di servizio, divieto di cumulo di incarichi, ecc.);
E. le sanzioni disciplinari;
F. la cessazione del rapporto di lavoro.
La revisione dello status giuridico intende intervenire su questi aspetti e collegarli al nuovo meccanismo di progressione di carriera di ciascun docente. Abbiamo già visto nel Capitolo 1 le questioni relative al punto (A). A seguire vediamo come cambiano la funzione docente, il trattamento economico e la progressione di carriera, e la mobilità.

LA FUNZIONE DOCENTE
L a funzione docente si fonda sull’autonomia culturale e professionale e si sostanzia, oggi, in attività individuali (che comprendono sia le attività individuali di insegnamento – da 18 ore a 25 a seconda del grado di istruzione – sia le attività funzionali all’insegnamento e quelle aggiuntive – deliberate dal collegio dei docenti nell’ambito delle risorse disponibili e in coerenza con il Piano dell’offerta formativa, POF), collegiali (che consistono nella definizione, elaborazione e verifica degli aspetti pedagogico-didattici del POF), di aggiornamento e di formazione in servizio (vedi sopra). Anzitutto, per quanto riguarda le attività individuali dei docenti, a parità di orario, per realizzare un reale potenziamento dell’attività didattica, sarà prevista la creazione di banche ore con le ore che ciascun docente “guadagna” (e che così “restituirà” alla scuola) nelle giornate di sospensione didattica deliberate ad inizio anno dal Consiglio d’istituto nell’ambito della propria autonomia. Di fatto, pochissime ore l’anno (indicativamente 8/10) per ciascuno docente, ma che costituiscono un “patrimonio” estremamente utile per la scuola.
Inoltre, tutte le attività svolte dai docenti, sia individuali sia collegiali, contribuiranno al riconoscimento di crediti didattici, formativi e professionali, per sostenere la scuola nel suo processo di miglioramento. Tale sistema di crediti, documentabili, valutabili, certificabili e trasparenti avranno un “peso” diverso, e saranno legati al lavoro che i docenti svolgeranno rispettivamente in termini di (1) miglioramento della didattica, ma anche di (2) propria qualificazione professionale attraverso la formazione, e di (3) partecipazione al progetto di miglioramento della scuola (vedi Capitolo 3).
I crediti riconosciuti durante la carriera e il curriculum personale del docente arricchiscono poi il suo portfolio e sono inseriti in un registro pubblico, consultabile dai dirigenti scolastici (vedi Capitolo 3), che a certe condizioni nel rispetto della continuità didattica, possono scegliere le migliori professionalità per potenziare la propria scuola. Nessuna ambiguità quindi: la qualità della didattica sarà il criterio di valutazione più importante del docente che vorrà fare carriera nella scuola. E nessun dubbio sul fatto che non sarà un sistema fatto di sole procedure formali e certificati. Perché ci sarà spazio per una valutazione anche qualitativa interna alla singola scuola.

• I CREDITI DIDATTICI si riferiscono alla qualità dell’insegnamento in classe e alla capacità di migliorare il livello di apprendimento degli studenti. Contribuiranno a far emergere le migliori prassi di insegnamento, assicurando innovazione didattica e, allo stesso tempo, attenzione per le specificità disciplinari.
• I CREDITI FORMATIVI fanno riferimento alla formazione in servizio a cui tutti sono tenuti, alla attività di ricerca e alla produzione scientifica che alcuni intendono promuovere, e si potranno acquisire attraverso percorsi accreditati, documentati, valutati e certificati.
• I CREDITI PROFESSIONALI sono quelli assunti all’interno della scuola per promuovere e sostenerne l’organizzazione e il miglioramento, sia nella sua attività ordinaria (coordinatori di classe) sia nella sua attività progettuale. Tutti i crediti didattici, formativi, e professionali faranno parte del portfolio del docente, che sarà in formato elettronico, certificato e pubblico. La progressione di carriera si articolerà in un riconoscimento e in una valorizzazione delle competenze acquisite, e dell’attività svolta per il miglioramento della scuola. Il portfolio del docente è vagliato dal Nucleo di Valutazione interno di ogni scuola, a cui partecipa anche un membro esterno (vedi Capitolo 3).

COME IL DOCENTE POTRÀ DIMOSTRARE QUANTO VALE?

IL TRATTAMENTO ECONOMICO E LA PROGRESSIONE DI CARRIERA
Il nuovo sistema di progressione di carriera (e quindi di retribuzione) dei docenti della scuola italiana non si fonderà più soltanto sull’anzianità, ma soprattutto sull’impegno e sul contributo dei docenti al miglioramento della scuola in cui lavorano. Come funzionerà in concreto? Ad ogni docente sarà riconosciuto, come già avviene oggi, uno stipendio base. Questo stipendio base potrà essere integrato nel corso degli anni in due modi, complementari e cumulabili: 1. il primo modo sarà strutturale e stabile, grazie a scatti di retribuzione periodici (ogni 3 anni) – chiamati “scatti di competenza” – legati all’impegno e alla qualità del proprio lavoro; 2. il secondo modo sarà accessorio e variabile, grazie a una retribuzione (ogni anno) per lo svolgimento di ore e attività aggiuntive ovvero progetti legati alle funzioni obiettivo o per competenze specifiche (BES, Valutazione, POF, Orientamento, Innovazione Tecnologica). Quindi, i progetti e le attività aggiuntive che i docenti svolgeranno daranno loro la possibilità di ottenere una remunerazione aggiuntiva (a carico del Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa – MOF, vedi Capitolo 6), e in più saranno utili, qualora contribuiscano al piano di miglioramento della scuola, per il conseguimento di crediti professionali.

Ma come funzioneranno gli “scatti di competenza”?
Abbiamo visto che, nel corso del proprio lavoro a scuola, in classe e fuori dalla classe, il docente matura dei crediti didattici, professionali, e formativi. Periodicamente, ogni 3 anni, due terzi (66%) di tutti i docenti di ogni scuola (o rete di scuole) avranno diritto ad uno scatto di retribuzione. Si tratterà del 66% di quei docenti della singola scuola (o della singola rete di scuole) che avranno maturato più crediti nel triennio precedente. Col nuovo sistema, gli scatti di competenza ci saranno ogni 3 anni. Questo intervallo è coerente con i tempi del Sistema nazionale di valutazione, con i progetti di miglioramento legati ai processi di valutazione di ciascuna scuola (vedi Capitolo 3), con la necessità di creare un incentivo reale a fare bene il proprio mestiere e cercare di migliorarsi sempre.

Il valore dello scatto triennale sarà sempre lo stesso (ma si potrà decidere di modularlo su tre fasce di merito in funzione del punteggio ottenuto da ciascun docente sui crediti maturati).
Per dare una prima idea, e dalle prime stime effettuate (e nell’ipotesi in cui lo scatto sia lo stesso, ossia senza fasce differenziate all’interno del 66% premiato) risulta che, se prendiamo un professore della scuola superiore: • il valore di ogni scatto triennale potrebbe essere di circa 60 euro netti al mese; • due insegnanti su tre incrementeranno il proprio stipendio ogni 3 anni – e non più ogni 9, ogni 6, ogni 7 come avviene oggi; • gli insegnanti giovani potranno avere il primo incremento stipendiale dopo soli 3 anni – ed un secondo incremento dopo 6 – anziché dopo 9 anni come oggi; • con il sistema attuale, un docente deve aspettare 9 anni per avere 140 euro netti in più al mese. Il più bravo come il peggiore d’Italia. Con il nuovo sistema i docenti più bravi possono avere già 120 euro netti in più dopo 6 anni, per giungere dopo 9 anni a 180 euro netti in più. Quindi, dopo 6 anni molti docenti avranno 120 euro netti in
più al mese, alcuni avranno la metà – quindi 60 euro in più – e altri saranno rimasti con lo stipendio iniziale, ossia come sono oggi dopo 6 anni non solo loro ma tutti i docenti neoassunti col sistema attuale; • nella propria carriera ciascun docente potrà maturare fino a 12 scatti di competenza, il doppio di quelli previsti attualmente; • con il nuovo sistema, chi matura i primi due scatti arriva al nono anno (quando oggi maturerebbe il primo scatto) con complessivamente circa 500 euro netti in più nel portafoglio; • a fine carriera, i docenti migliori potranno arrivare guadagnare circa 9 mila euro netti in più all’anno rispetto al loro stipendio di base, cioè circa 2 mila euro netti in più di quanto guadagnerebbero a fine carriera con il sistema attuale.
Il primo scatto sarà attribuito alla fine del 2018, al termine del primo triennio dall’assunzione dei nuovi 150 mila docenti di introduzione del nuovo sistema dei crediti e di valutazione. Creando un immediato dinamismo nel sistema. Ciò vuol dire che non saranno attribuiti scatti negli anni 2015- 2018. Ma anche che, nel 2018, due terzi di tutti i docenti italiani – quasi mezzo milione
– matureranno uno scatto di circa 60 euro netti al mese. Coloro che entreranno in ruolo nel 2016 e nel 2017 (rispettivamente prima e seconda tranche del prossimo concorso, vedi Capitolo 1) dovranno “aspettare e prendere l’onda”. Ciò significa che potranno concorrere alla ripartizione degli scatti di competenza solo nel 2021. Allo stesso modo, i futuri assunti nel 2019 e 2020 potranno concorrere alla ripartizione degli scatti di competenza solo nel 2024. Indipendentemente da quando uno entrerà in ruolo dovrà aspettare al massimo 4 o 5 anni (invece di 3) per concorrere a maturare lo scatto di competenza successivo. Anche per i “nuovi entranti” all’inizio di carriera si
tratta di una condizione nettamente migliore di quella attuale, nella quale devono aspettare 9 anni prima del primo scatto.
Dal 1° settembre 2015 si procederà all’eliminazione degli scatti stipendiali automatici attraverso un sistema transitorio di progressivo passaggio al nuovo meccanismo basato sulla maturazione dei crediti, sugli scatti delle competenze, e sulla valutazione delle scuole. Nel dettaglio: • docenti che sono arrivati al 33esimo anno di servizio – e a cui mancano meno di 3 anni per il pensionamento: continuerà ad applicarsi l’attuale sistema di scatti di anzianità; • docenti immessi in ruolo dopo l’entrata in vigore del piano, con diritto alla c.d. ricostruzione di carriera: riconoscimento degli scatti stipendiali, se utilmente maturati, fino al 1° settembre 2015 e applicazione del nuovo regime a partire dalla data di immissione in ruolo;
• docenti che si trovano nelle diverse classi stipendiali (fino al 33esimo anno): ad essi si applica fino al 1° settembre 2015 il sistema previgente basato sugli automatismi stipendiali e dal 1° settembre 2015 il nuovo meccanismo degli scatti (conservando lo stipendio sino a quel punto maturato). In generale, la transizione al nuovo sistema non sarà per nessuno drammatica e nella maggior parte dei casi favorirà anzi una vastissima platea di docenti attualmente in ruolo. Ad esempio: • un docente neoassunto che con il sistema attuale avrebbe dovuto attendere 9 anni per ottenere un incremento stipendiale di 140 euro, nello stesso periodo con il nuovo sistema potrà guadagnarne fino a 180 euro in più; • un docente a metà carriera che nell’anno scolastico 2015-2016 ha 15 anni di anzianità, manterrà lo stipendio sino ad allora maturato con la prospettiva di poter guadagnare al termine della propria carriera più di 420 euro netti in più al mese rispetto ai 325 che avrebbe ottenuto con il sistema attuale basato sulla sola anzianità di servizio; • un docente che nell’anno scolastico 2015-2016 entra nella classe di anzianità ‘21’ dovrebbe poi aspettare altri sette anni, e quindi il 2022, per avere un ulteriore incremento, di circa 120 euro netti al mese. Col sistema attuale potrà avere (se rientrerà nel 66%) 60 euro netti nel 2018 e altrettanti nel 2021, per un totale di 120 euro netti in più, ma con la differenza che avrà avuto quasi 2.200 euro netti in più, tra il 2018 e il 2021.

LA TRANSIZIONE AL NUOVO SISTEMA

Le risorse utilizzate per gli scatti di competenza saranno complessivamente le stesse disponibili per gli scatti di anzianità, distribuite però in modo differente secondo un sistema
che premia l’impegno e le competenze dei docenti. Ciò consente all’operazione di non determinare oneri aggiuntivi a carico dello Stato. La necessità di attendere tre anni, dalla partenza del nuovo sistema, per il primo incremento stipendiale permetterà di recuperare risorse – quelle
che nel frattempo sarebbero state altrimenti destinate alla progressione di carriera secondo il modello attuale – utilizzabili anche per una stabilizzazione del fondo di Miglioramento dell’Offerta Formativa (MOF) destinato a remunerare anche le attività aggiuntive dei docenti in favore degli alunni. Infine, anche per il personale ATA sarà rivisitato il meccanismo di valorizzazione della carriera.

IL DOCENTE MENTOR
Cosa fa
Il docente mentor segue per la scuola la valutazione, coordina le attività di formazione degli altri docenti, compresa la formazione tra pari, sovrintende alla formazione dei colleghi, accompagna il percorso dei tirocinanti (vedi Capitolo 1, la nuova abilitazione) e in generale aiuta il preside e la scuola nei compiti più delicati legati alla valorizzazione delle risorse umane nell’ambito della didattica. Come è scelto Il docente mentor è scelto dal Nucleo di Valutazione interno, tra i docenti che per tre trienni consecutivi hanno avuto uno scatto di competenza. Ci sarà un numero particolarmente limitato di docenti mentor, pochissimi per scuola (o rete di scuole), indicativamente
fino ad un massimo del 10% di tutti i docenti. Il mentor rimane in carica per tre anni
e può essere riconfermato.
Come è retribuito
Oltre a ricevere il reddito derivante dagli scatti, il docente mentor è retribuito con una indennità di posizione. Durante il periodo da docente mentor continua a maturare, triennalmente, i crediti formativi, didattici e professionali.
Periodo transitorio
A termine, i mentor saranno scelti tra i docenti che per tre trienni consecutivi saranno stati premiati con lo scatto stipendiale. Ciò richiede nove anni dall’entrata in funzione del nuovo sistema. Nel frattempo, il mentor sarà scelto: (a) nei primi tre anni, dal Nucleo di Valutazione in relazione ad una prima documentazione dei crediti e del portfolio; (b) dopo sei anni, tra i docenti che hanno ricevuto per due volte lo scatto stipendiale.

LA MOBILITÀ DEI DOCENTI PER MIGLIORARE TUTTE LE SCUOLE
Di tutti gli aspetti del nuovo sistema ce n’è uno più importante di tutti. Ed è che l’unità di riferimento per il calcolo del 66% sia la singola scuola (o la singola rete di scuole). Non solo perché questo creerà un incentivo sano per tutti i docenti all’interno di ogni scuola (o rete di scuole) a contribuire al progetto formativo. O perché eviterà distorsioni e anomalie (casi di scuole dove i docenti sono sempre tutti nel primo 66%). Ma perché permetterà di migliorare le scuole di tutta
Italia, dal momento che favorirà una mobilità “orizzontale” positiva.
I docenti mediamente bravi, infatti, per avere più possibilità di maturare lo scatto, potrebbero volersi spostare in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa e quindi verso scuole dove la qualità dell’insegnamento è mediamente meno buona, aiutandole così ad invertire la tendenza. Andrà previsto che la mobilità avvenga ovviamente nel
rispetto della continuità didattica, e anche che le scuole potranno contare sui loro docenti per almeno 3 anni consecutivi. Ma è chiaro che, incoraggiando la mobilità, il meccanismo nel suo complesso consentirà di ridurre le disparità tra scuole, e aumentare la coesione sociale. È un sistema basato sul merito dei docenti che riduce le disparità tra le scuole e le incoraggia e aiuta tutte a migliorare. Questa mobilità geografica andrà di pari passo con la mobilità professionale. Ossia la cattedra a organico funzionale e viceversa, affinché progressivamente tutti i docenti abbiano, nel corso della loro carriera, la possibilità di svolgere tanti lavori diversi ma complementari – dal fare lezione in classe, allo sviluppare la progettualità extra-curricolare, al seguire la formazione dei tirocinanti – che contribuiscono, tutti, a migliorare i progetti formativi delle scuole e in generale a far crescere i ragazzi. Questa mobilità sarà la migliore garanzia contro il rischio di creare due compartimenti stagni (cattedra vs funzionale). Permetterà inoltre di venire incontro alle esigenze personali e professionali dei diversi docenti, consentendo loro di fare tante esperienze diverse, e servirà al sistema, nel suo complesso, per migliorarsi nel tempo e realizzare la vera autonomia.

N.B.: Fino al 15 novembre sul sito www.labuonascuola.gov.it è possibile partecipare alla consultazione pubblica per delineare le caratteristiche di un’efficiente ed efficace azione di ammodernamento dell’Istituzione SCUOLA.

mercoledì 8 ottobre 2014

Dossier ‘L’albero di Lullo’ – I parte: Giornalismo, informazione e conoscenza

Per produrre conoscenza, occorre mettere insieme tipologie di sapere molto differenti, e spesso complementari. Parlare di economia della conoscenza consiste nello studio dei processi economici che portano alla generazione di valore economico attraverso l’uso di conoscenze, nelle varie forme che queste possono assumere. Una perfetta rappresentazione simbolica di tutto ciò ci viene data dall’Arbor Scientiae del filosofo Raimondo Lullo per la descrizione della cosiddetta tecnica combinatoria.
Secondo la sua teoria, infatti, selezionando i termini essenziali, e configurando così con essi una schema di partenza, la concatenazione delle condizioni e delle cause di relazione tra essi consente una perfetta conoscenza della realtà. Questo schema combinatorio veniva dal Lullo raffigurato come un albero, che finiva per diventare anche una mnemotecnica, cioè un metodo per dare sistematicità ed efficienza alla memoria, attraverso cui rappresentare le categorie fondamentali (radici) da cui derivare e ricordare attraverso progressive specificazioni (tronco, diramazioni, foglie, fiori e frutti) tutte le possibili verità.
La conoscenza e il suo corretto utilizzo è importante in ogni ambito della nostra realtà, da quello scolastico, a quello aziendale, a quello (in)formativo, a quello amministrativo, seppur con molteplici significati e sfaccettature. Il dossier ‘L’albero di Lullo’ ha come obiettivo quello di raccogliere interviste, proposte e prodotti della conoscenza da condividere e sviluppare, in maniera partecipativa e cooperativa.



Dossier ‘L’albero di Lullo’ – I parte: Giornalismo, informazione e conoscenza

Le due pietre angolari della piramide della moderna informazione sono giudizio ed evidenza. Il giudizio è la capacità di selezionare le notizie, capire cosa sia importante e cosa sia interessante. Una notizia può avere entrambe le caratteristiche o solo una delle due. L’evidenza è collegata con l’attività di reporting, cioè di riportare e rielaborare le notizie definendo cosa è da mette in primo piano e cosa no. Il giornalista ha vari metodi con cui raccogliere informazioni: interviste, documenti, conferenze stampa, cronologie, analisi di dati, social network, ecc.. In questo caso assume molta importanza la verifica della fonte, cioè l’accertarsi che ciò di cui si viene a conoscenza sia vero. Alla base della piramide troviamo il linguaggio e lo storytelling, cioè la capacità di riportare e raccontare le storie con le forme appropriate della comunicazione. La versatilità del giornalista è molto ampia in quest’area. A seconda del media e del pubblico al quale si riferisce, si possono avere testi lunghi o brevi, che cercano di suscitare empatia nel lettore oppure rimangono più distaccati cercando di rispondere alle cinque W (Who, when, where, what, why).
La tecnologia nell’era della digitalizzazione fa, dunque, la sua parte. Oltre alle conoscenze e competenze nell’uso dei nuovi mezzi di comunicazione, come piattaforme digitali di scrittura e video, il giornalista deve considerare due aspetti della tecnologia: come l’innovazione ha cambiato il mondo dell’informazione e come questa stia cambiando la nostra società. L’audiovisivo ha rappresentato un momento cruciale nella storia del giornalismo che adesso sta convergendo in Internet. Anche se rimane una parte più specializzata, la capacità di raccogliere foto, video e registrazioni audio sono fondamentali e resi più facili nella raccolta grazie a smartphone e tablet.
Più in alto troviamo la letteratura civica e la cultura. La letteratura civica comprende le conoscenze che riguardando la struttura del governo, la divisione dei poteri, la Costituzione, la storia della nazione e la legge. Per quanto riguarda la cultura, il giornalismo è una forma di espressione della cultura sia propria di chi scrive, sia della società in generale, in quanto riflette i valori e gli elementi di cui è composta. Inoltre il giornalista deve essere aperto alle altre culture o punti di vista, in quanto potrebbe operare in luoghi molto diversi da quelli in cui è abituato a vivere (è il caso dei corrispondenti esteri o di chi compie servizi in zone dove esistono gravi disagi all’interno della società). In cima alla piramide troviamo la missione e gli obiettivi. Il giornalismo è una professione che risiede all’interno di una azienda, che ha come obiettivo la creazione di ricchezza, per cui a volte ci possono essere dei conflitti di interesse. Dato che c’è sempre stata una tensione tra interessi professionali e commerciali è bene avere chiaro quale sia la missione e lo scopo da perseguire. L’esercizio del mestiere senza scopo può diventare irrilevante se non addirittura pericoloso. Un senso dello scopo può nascere dallo studio accademico che include la familiarità con i canoni di etica, diritto, storia del giornalismo, standard e pratiche, lo studio dei principi di democrazia, le teorie di libertà e di giustizia.

Per la prima parte del dossier ‘L’albero di Lullo’ abbiamo parlato con il Dott. Vincenzo La Camera, fondatore e direttore di Paese.24, un portale di informazione locale, la cui mission è quella di informare su ciò che accade nei comuni dell’Alto Jonio cosentino (ma con finestre anche su Basso Jonio, Pollino, Provincia e Regione), sotto tutti gli aspetti sociali. Dalla politica allo sport, dalla cronaca alla scuola, dagli eventi parrocchiali a quelli culturali. Come detto sopra, il portale è stato ideato dal giornalista professionista Vincenzo La Camera (già redattore di Calabria Ora di Cosenza, del Resto del Carlino di Bologna, esperto di giornalismo scolastico ed ufficio stampa e fondatore del primo giornale on line dell’Alto Jonio cosentino, AmendolaraLive.it, trasformatosi poi in Paese24.it), che ne curerà le pubblicazioni.

Che il digitale abbia rivoluzionato le dinamiche della comunicazione è ormai un dato acquisito. Quali cambiamenti ha portato il digitale nel mondo del giornalismo e della diffusione dell'informazione e della conoscenza?
Oggi, grazie al digitale, tutti possono fare informazione con più facilità rispetto a prima. Ma fare giornalismo resta un'altra cosa e quindi appannaggio dei giornalisti perché significa scovare la notizia, verificarla e confezionarla per il pubblico. Il fattore positivo del digitale nel mondo dell’informazione è la possibilità che hanno i professionisti del settore di “stare sul pezzo” in tempo reale grazie ai nuovi strumenti. Il fattore negativo invece è dato dal fatto che queste novità multimediali hanno aperto le porte della professione anche ai così detti “giornalisti della domenica”, persone improvvisate che inquinano il mercato. Su questo l’Ordine dei Giornalisti dovrebbe effettuare maggiori controlli.
Comunicatori e giornalisti sono davvero così diversi oggi? Qual è la sfida che devono vincere i giornalisti nativi digitali?
Fare giornalismo significa fare comunicazione, ma fare comunicazione non significa per forza fare giornalismo. Giornalisti e comunicatori erano diversi ieri e sono diversi oggi. Fare comunicazione significa occuparsi di un evento (gestione, marketing); seguire la campagna elettorale di un politico; curare l’immagine di un prodotto. Il giornalista invece lavora con le notizie, produce informazione. Il comunicatore il più delle volte è schierato perché lavora per un cliente. Il giornalista deve essere imparziale. La sfida dei giornalisti digitali è quella di mantenere viva una professione che rischia di scomparire. Quindi, aprirsi sì alle nuove tecnologie ma continuare a fare il mestiere sempre con la stessa etica e deontologia.
Il web rappresenta sempre di più ormai, almeno apparentemente, una forma di sistema orizzontale dell'informazione e di democrazia partecipata. Come l'utente oggi può essere definito vero e proprio creatore di contenuti?
Sicuramente oggi grazie al web (siti, social network) l’utente ha molte più possibilità di informarsi rispetto a dieci anni fa. Ma poiché il web è una piazza dove tutti possono stare, l’utente deve avere anche la capacità di filtrare l’informazione scartando quella fasulla (i così detti fake). Prima, con i giornali cartacei, il lettore si affezionava ad un prodotto, si fidelizzava. Oggi, con i giornali on line, non è così. Difficilmente ricorre questo legame. Il più delle volte l’utente è distratto e affamato di informazione a prescindere da chi gliela possa fornire. Questo comportamento porta ad informarsi male perché spesso il lettore digitale si affida ai siti sbagliati, non professionali. L’utente è un po’ un “cane sciolto” sul web e pur non avendo le competenze diventa involontariamente creatore di contenuti: scattando foto di eventi, producendo piccoli filmati che finiscono sui social network, fornendo comunque ai follower (alle persone che seguono un determinato profilo social) un’informazione.
Come si inserisce in questo contesto la realtà informativa di Paese24.it?
Paese24.it è ha colmato un vuoto, e cioè la quasi totale assenza di informazione circa un territorio preciso: l’Alto Jonio cosentino. Il nome del portale richiama la sua mission: Paese perché si occupa di cronaca locale, e quindi dei paesi dell’Alto Jonio. E 24 perché lo fa nell’arco di tutta la giornata, in tempo reale. Paese24.it ha abbracciato il nuovo modo di fare giornalismo aprendo alla tecnologia, ma dall’altra parte produce informazione rispettando le vecchie regole della professione, a partire dalle competenze specifiche dei suoi collaboratori. L’esperimento di Paese24.it può essere considerato unico nel suo genere, poiché nonostante si presenti come un prodotto rientrante nei new media (sito + social network), cattura l’interesse anche di quella fascia di popolazione adulta, per non dire anziana che ricorre al sito per aggiornarsi. Ed è proprio questo atteggiamento che giustifica la nascita del portale nel febbraio 2012: la mancanza di un prodotto che producesse informazione per l’Alto Jonio cosentino.