mercoledì 29 maggio 2013

Open Data vs. Big Data


Le due definizioni di Open Data e Big Data si accompagnano ormai sempre più spesso facendo riferimento alla necessità e possibilità di accedere a questi contenuti informativi per poter operare in termini di confronto, integrazione, analisi di grandi masse di informazioni riguardanti dati statistici, geografici, economici e demografici.
Nello specifico, con l’espressione Open Data, o dati aperti, si fa riferimento alle informazioni raccolte dalle PA e messe a disposizione dei cittadini e delle imprese, attraverso lo strumento web, sotto forma di database interoperabili e con licenze libere. Nell’ambito della PA, infatti, da sempre vengono raccolte informazioni sulle tematiche più svariate e oggi, tramite queste collezioni di dati, si ha la possibilità di restituire il patrimonio informativo accumulato ai cittadini e agli operatori economici di settore. Le principali caratteristiche degli Open Data DataBase sono: trasparenza, partecipazione e collaborazione, che mirano a modificare i rapporti di condivisione di conoscenza tra PA e cittadini, imprese ed enti pubblici.
I Big Data (BD), invece, indicano un insieme di dati complessi (“big”), sia da un punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo, relativamente alla loro laboriosità: distribuzione su scala mondiale, eterogeneità delle fonti, difficile accesso alle informazioni intrinseche dei dati stessi. Da qui nasce l’esigenza di organizzare in maniera pianificata i dati, al fine di renderli fruibili senza vincoli tecnologici, spaziali e/o temporali. Si tratta, quindi, di riuscire a mettere in relazione diverse tipologie di dati: strutturate (in archivi e database), semi-strutturate e non strutturate (come blog, e-mail, testi e immagini).
Gli Open Data (OD), in quanto informazioni strutturate, sono quindi un sottoinsieme di dati che alimentano una cultura della partecipazione, contribuendo a creare un ecosistema collaborativo, composto da PA, cittadini e imprese, fondamentale per la crescita del territorio di riferimento. Di contro, le criticità possono essere ricondotte, da una prima analisi, all’impatto organizzativo dei dati: il patrimonio informativo pubblico è costituito, infatti, da una grande mole di dati “grezzi”, detenuti da enti diversi. Riversare gli archivi pubblici su internet, potrebbe sembrare un’operazione di trasparenza, ma con poco significato da un punto di vista pratico. Occorre, quindi, processare i dati per ricavarne “dati raffinati”, pronti per essere utilizzati; ma questa elaborazione presuppone un grande lavoro, anche e soprattutto riguardo la tempistica. Occorre, in secondo luogo, far percepire alla società civile il reale vantaggio degli OD, in modo che essi vengano poi opportunamente utilizzati.
Per quanto riguarda i BD, i vantaggi e le opportunità sono il monitoraggio di grosse quantità di dati, la visualizzazione e la recupero degli stessi. Questo significa processare grandi quantità di dati per ricavarne pattern adatti a individuare trend e opportunità nuove in campo politico, sociale ed economico. Questa è in realtà la sfida del Web 3.0. le criticità e le problematiche inerenti ai BD riguardano ovviamente il volume di dati da analizzare, ma anche la velocità di estrazione e l’eterogeneità di cui tener conto. Ciò implica costi, soprattutto iniziali, elevati, sia in termini di hardware che di software. Non esiste ancora, nella PA, un percorso predefinito, ma i benefici di tali investimenti potrebbero essere nel breve-medio periodo particolarmente significativi.


Il successo diventa social


Una canzone, un ballo, un libro, ma anche un personaggio, un gioco online può diventare “un tormentone”, grazie ai moderni strumenti di condivisione legati ai social media. Con internet è cambiato tutto, e all’improvviso tutto può diventare un successo. Semplicità, immediatezza, divertimento, e la possibilità di far leva sui meccanismi che regolano l’identità e l’appartenenza a una comunità virtuale di riferimento: sono queste le caratteristiche su cui si basa un tormentone di successo. Oggi la tecnologia e i social network concedono nuovi canali per la diffusione di prodotti mediali (viral). Una volta resa pubblica, un’idea può diffondersi ed essere condivisa all’infinito, creando un circolo inarrestabile.
Si pensi al motivetto incalzante ispirato a una filastrocca brasiliana con i versi degli animali di una fattoria della scorsa estate: il “Pulcino Pio”, ha spopolato sulle spiagge tra bimbi e genitori, negli oratori e nelle discoteche tra i giovani. È diventato un marchio, un CD e lo abbiamo ritrovato su tazze, accessori per pc, suonerie, felpe, ecc. il fenomeno partì da una radio romana (Radio Globo), che lo ha messo in rete la prima volta.
Grazie ad internet il Gangam Style del rapper sudcoreano Psy è diventato il video più visto da sempre a livello planetario. Un testo incomprensibile, un ballo incalzante che hanno contagiato anche il presidente Barack Obama. A sugellarne il successo anche le mille parodie, un contagio trasversale, senza età né classi sociali.
Giocare con amici o sconosciuti online a trovare più parole possibili in un tempo limitato è invece lo scopo di “Ruzzle”, una specie di moderno Scarabeo. Tutto grazie a Facebook e alle applicazioni per cellulari che hanno diffuso questa nuova mania. In marzo è partito in Italia il primo campionato tra città, sul sito www.ruzzioliamo.it. Bisogna trovare qualcuno da sfidare, e in tre round da due minuti si devono trovare pià parole possibili di senso compiuto tra quelle proposte a entrambi dal sistema.
Il fenomeno social investe anche l’ambito editoriale e ciò è dimostrato dal successo di alcuni libri deputati a divenire bestseller, proprio grazie al passaparola virtuale. Il romanzo “Cinquanta sfumature di grigio”, scritto dall’inglese E.L. James, divenuto poi trilogia con le versioni “in rosso” e “in nero” è ormai un fenomeno letterario, riproposto anche nell’omonimo film.
Si parla di “virtual marketing”, ed è la tecnica di comunicazione non convenzionale di ultima generazione che sfrutta la capacità comunicativa di alcuni per trasmettere il proprio messaggio ad altri utenti potenzialmente interessati. È la versione 2.0 del “passaparola”, che si espande rapidamente e a basso costo. Oggi tale comunicazione di rete può essere lanciata da chiunque, sarà il pubblico poi a decidere se merita o no di essere diffusa. Nel giro di pochi giorni, un viral può raggiungere milioni di visitatori con l’inoltro e sui social network, semplicemente con le opzioni “like” e “condividi”.

giovedì 23 maggio 2013

Un festival per l'innovazione e l'economia della conoscenza

Dal 22 al 24 maggio si terrà il Festival dell’innovazione 2013 dedicato all’innovazione e all’economia della conoscenza, nella cornice del borgo antico e del centro di Bari.
L’evento rappresenta un momento di incontro e confronto fra i protagonisti dell’innovazione e i cittadini: durante la manifestazione sarà possibile visitare mostre interattive, esposizioni o assistere ai numerosi eventi in programma.
L'economia della conoscenza è una branca dell'economia che si occupa di studiare le caratteristiche della conoscenza e delle informazioni, con particolare attenzione a natura, creazione, diffusione, trasformazione, trasferimento, e utilizzo della conoscenza in ogni sua forma.
Tale disciplina evidenzia i legami tra i processi di apprendimento, l'innovazione e la competitività, sempre più basati sulla conoscenza e di conseguenza sulle risorse intangibili, sul know-how e sulle competenze distintive. Alla base della conoscenza vi sono i processi cognitivi e di apprendimento dell'uomo: l'economia è fatta di scelte e le scelte sono il risultato dei processi neurobiologici che avvengono nella mente dell'uomo. Dunque, alla base della teoria economica vi devono essere i "meccanismi che guidano il lavoro della mente umana" (http://it.wikipedia.org/wiki/Economia_della_conoscenza).
Il Festival dell’Innovazione, giunto alla sua terza edizione, si evolve e si propone non solo come una vetrina delle innovazioni, ma soprattutto come uno spazio aperto allo scambio di sperimentazioni: un laboratorio poco strutturato in cui le esperienze sono portate sia dagli attori tradizionali del Sistema Innovativo Regionale, sia dal pubblico più ampio.
Non una fiera quindi, ma un evento composito, che coinvolge il cuore pulsante di Bari, il borgo antico e il centro murattiano, confrontando idee, visioni, esperienze.
L’innovazione dai laboratori scende per strada, incontra i giovani, i cittadini e agisce su tutti gli ambiti della vita quotidiana.
Anche per questo i temi della manifestazione sono trasversali, con un’unica concessione ad un tema “verticale”, quello dell’energia e del risparmio energetico, che per molti versi caratterizza l’esperienza pugliese nel contesto nazionale e mondiale in maniera assolutamente precipua.
I cinque temi cardine del Festival dell’Innovazione 2013 sono:
  • Economia della conoscenza: il circuito ricerca-impresa-finanza-amministrazione pubblica
  • Made in Italy hi-tech: smart specialization, innovazione nei settori innovativi e tradizionali, distretti, reti, cluster
  • Energia-Energie: il modello pugliese e oltre
  • Il fattore umano: empowerment e autoimprenditorialità, innovazione della formazione
·         Smart&Social: smart cities, innovazione sociale, collaborazione, comunicazione innovativa, web 3.0
L’obiettivo dell’iniziativa è quello di dar vita a una manifestazione divertente e coinvolgente in cui scienza e società, enti di ricerca e imprese dialogano tra loro.
Per ulteriori informazioni: www.festivalinnovazione.puglia.it

martedì 21 maggio 2013

Il lato davvero "eco" delle auto elettriche


Ci sono tante definizioni per indicare le modernissime auto elettriche: ecologiche, green, a zero emissioni. Ma in seguito ad un articolo apparso sul Wall Street Journal, in cui lo scienziato americano Bjorn Lomborg afferma che, a causa della batteria al litio, per produrre un’auto elettrica l’anidride carbonica sviluppata supera di molto quella necessaria per le auto tradizionali, il lato “eco” di queste vetture potrebbe essere messo in discussione. C’è, infatti, chi continua a considerarle ecologiche al 100% e chi non le considera mezzi “puliti” in totus.
Sicuramente, si può affermare che quando circolano non producono alcuna forma di inquinamento locale, mentre l’emissione di CO2 dipende fortemente dalle tecnologie di produzione del veicolo e dal tipo di energia utilizzata per la ricarica elettrica. Insomma, l’utilizzo delle auto elettriche produce emissioni bassissime di gas climalterante (CO2), ma a queste vanno aggiunte quelle prodotte per la loro costruzione, che sono più alte di quelle necessarie a fabbricare quelle con motore a scoppio, proprio perché occorre produrre anche le batterie.
Ad ogni modo, quando si parla dei vantaggi legati al fattore sostenibilità, si prendono come riferimento sempre e soltanto le emissioni di anidride carbonica, mentre sarebbe più coretto guardare ai pregi complessivi. La categoria dei veicoli tradizionali costa all’economia italiana circa 6 centesimi al chilometro, suddivisi in 4 centesimi per l’importazione del petrolio, 1 centesimo per il costo sanitario dovuto alla cattiva qualità dell’aria e 1 centesimo per il peso economico delle reali emissioni di CO2.
In America lo scorso anno sono state immatricolate 50mila auto elettriche, mentre secondo l’Associazione nazionale fra le Industrie Automobilistiche (ANFIA), sostiene che nel 2012 in Italia sono state vendute solo 524 auto elettriche, di cui 25 destinate a privati e le restanti a enti e aziende. Nel nostro Paese, quindi questo può essere considerato ancora solo un mercato di nicchia, seppur in crescita, con gran fatica.
La causa principale di questa situazione sembra essere la durata limitata della batteria, che fa in modo da considerare l’auto elettrica solo come un’auto da città, impensabile da utilizzare per viaggi superiori a 8 ore.
Nell’ambito delle politiche “green oriented”, l’auto elettrica è sicuramente un settore su cui puntare, ma affinché da un mezzo di trasporto destinato solo a pochi, possa trasformarsi in un prodotto di largo consumo, bisogna quindi ripensare le strategie adottate fino ad ora, investendo maggiormente in questo settore.

http://www.infooggi.it/articolo/il-lato-davvero-eco-delle-auto-elettriche/42730/

Didattica CLIL e costruzione di una nuova società della conoscenza


Oggigiorno, ancora più che in passato, la scuola è chiamata a svolgere il delicato compito di formare persone in grado di interagire con una società molto più complessa ed esigente, quella che nel “Libro bianco” della Commissione Europea (“Insegnare ed apprendere - Verso una società della conoscenza” – Bruxelles, 1995 )viene definita una “Società conoscitiva”, in cui il processo di apprendimento non si esaurisce con la frequenza scolastica, ma si estende fino ad abbracciare l’intero arco della vita. Gli stessi concetti e le medesime esigenze vengono riprese e affrontate nel “Libro bianco sul futuro del modello sociale – La vita buona nella società attiva”, prodotto dal Ministero del lavoro, della salute e delle Politiche sociali nel 2009 (scaricabile dai siti www.ministerosalute.it e www.lavoro.gov.it).
Come scrive Martin Dodman in “Educazione plurilingue nella realtà multiculturale”, in quest’ottica diventa fondamentale costruire un curricolo in grado di fornire risposte precise e adeguate per i tempi in cui viviamo. I numerosi flussi migratori che si verificano per motivi di lavoro, di studio, sociali e/o politici, favoriscono la nascita di una dimensione all’insegna della multiculturalità e ormai in molti Paesi il plurilinguismo è diventato una nuova e concreta realtà con cui confrontarsi. Diverse culture, conoscenze, modi di pensare, usi, costumi, vissuti e valori entrano in contatto e coesistono, si aprono nuovi orizzonti, si abbattono barriere mentali e pregiudizi, che invece, prosperano ove sono grettezza e chiusura, si stimolano scambi proficui: questo è lo scenario attuale e lo sarà ancora di più in futuro.
La scuola non può, dunque, prescindere da tale contesto e, pertanto, nel curricolo la lingua straniera non può più essere trattata esclusivamente come oggetto di studi, ma deve essere inteso anche come mezzo per veicolare contenuti. È in tale discorso che si inserisce la didattica CLIL, acronimo coniato nel 1994 da David Marsh e Anne Maljers, che sta per “Content and Language Integrated Learning”. Con tale espressione si indica preferibilmente una metodologia di insegnamento che si avvale di una lingua che non sia quella madre, come mezzo per la trasmissione e l’acquisizione di contenuti di una disciplina non linguistica. La lingua, quindi, diventa solo un veicolo che non contende affatto il ruolo principale e di primo piano che viene, invece, rivestito dal contenuto della materia oggetto di insegnamento.
Lingua madre e lingua straniera devono essere utilizzate dall’insegnante non con un rigido metodo specifico, ma sfruttando un approccio sistemico flessibile ed efficace che faccia appello ad un’ampia gamma di metodologie: activity-based approach, audiovisual aids, storytelling, task-based approach, Total Physical Response, learning by doing, ecc.
La metodologia CLIL è sicuramente la soluzione che consente la formazione dei cittadini che possono integrarsi pienamente in una società plurilingue e di rispondere senza incertezze alle richieste del mercato del lavoro attuale e del futuro, ormai sempre più caratterizzato dalla mobilità. In vista di tale obiettivo, va sottolineata l’importanza che l’insegnamento della lingua straniera sia ad appannaggio di persone preparate, in grado davvero di padroneggiare i mezzi linguistici e gli aspetti culturali della lingua straniera, piuttosto che di insegnanti “sfornati” da corsi che entrano solo in un’ottica di razionalizzazione del personale docente.


http://www.infooggi.it/articolo/da-un-apprendimento-integrato-plurilingue-alla-nuova-era-della-conoscenza/42729/

lunedì 20 maggio 2013

Costituire una società della conoscenza nel XXI secolo


L’obiettivo è la costruzione della Società della Conoscenza del XXI secolo. E' necessario preparare gli artefici di questa società, i cittadini ai quali dovremo lasciare in eredità questo compito.

In una società ricca di storia e di cultura come la nostra, è naturale pensare che tale compito debba essere svolto dalla Scuola pubblica, che deve essere predisposta in tal senso.

E’ quindi necessario riqualificare la scuola pubblica, con l’obiettivo di recuperare le radici culturali del nostro paese, aprendo la cultura classica allo studio della Filosofia della Conoscenza

Occorre investire nella riqualificazione della scuola pubblica al fine di creare e diffondere la cultura della conoscenza tra i giovani a diversi livelli

E’ un recupero delle radici culturali del nostro paese e dell’Europa rispetto al dilagare della cultura tecnica;

La cultura dell’innovazione non è solamente tecnologia. C’è dietro un approccio culturale e filosofico differente che occorre utilizzare come leva per il cambiamento. La cultura Europea è fatta di grandi pensatori, di sviluppo e di confronto sulle idee, in altre parole un approccio legato al disegno concettuale che si contrappone alla cultura Americana basata su un approccio legato all’implementazione.

(Dal ADI forum www.adi.ideascale.com)


Info e contatti:

e-mail: rosangela.muscetta13@gmail.it
facebook: www.facebook.it/economiadellaconoscenza
linkedin: Rosangela Muscetta

Verso una società della conoscenza - dal Libro Bianco 2009



Le nuove tecnologie hanno migliorato la qualità della vita. Ancora non pienamente valutabili sono i progressi nei prossimi decenni nel campo della tecnologia della informazione e comunicazione, delle biotecnologie, della genomica, della ricerca biomedica, dei nuovi materiali. La diffusione delle tecnologie è favorita dalla crescente globalizzazione e dalla caduta dei loro costi e spinge alla adozione di nuovi modelli di organizzazione del lavoro.
La novità di questo tipo di cambiamenti, rispetto ai progressi registrati nei secoli scorsi, sta soprattutto nella velocità con cui si producono conseguenze sulla società. Un impatto che determina profonde trasformazioni della vita quotidiana non solo negli aspetti medici e tecnologici, ma anche in quelli delle relazioni sociali e familiari.
La rivoluzione digitale ha un carattere che inevitabilmente segna lo sviluppo delle relazioni umane e interpersonali. La rete Internet non è solo un insieme di interconnessioni tra punti di accesso. È soprattutto una nuova forma di socialità attraverso cui diventa possibile formare nuove relazioni libere dal vincolo territoriale. Non possono tuttavia essere trascurati i comportamenti patologici che si manifestano soprattutto nei più giovani.

Le tecnologie del calcolo e della comunicazione hanno determinato il superamento di sistemi organizzativi rigidamente verticali dove i lavoratori sono stabilmente chiamati a svolgere mansioni predeterminate per uno stesso datore di lavoro. La rivoluzione digitale ha indotto la possibilità che imprese diverse operino in rete favorendo la specializzazione produttiva, le esternalizzazioni e anche fenomeni di delocalizzazione.
Risulta oggi più efficiente per ciascun operatore concentrarsi sulla propria attività principale e approvvigionarsi, in qualunque parte del mondo, da soggetti terzi dotati di un prezioso know how immateriale ed organizzativo. Ciò non soltanto per i servizi di logistica, il facility management, l’amministrazione, i sistemi informativi, la commercializzazione dei prodotti ma anche per funzioni centrali e altamente specialistiche prossime al cuore del processo produttivo aziendale.
Anche per le piccole e medie imprese la logica di rete e il ricorso al know how organizzativo e gestionale di imprese specializzate risultano sempre più decisivi per sopravvivere nel medio e lungo periodo in un contesto economico e sociale in continua evoluzione. Si sono peraltro formate vere e proprie “multinazionali tascabili” che hanno consentito alle manifatture tradizionali di organizzarsi flessibilmente nella dimensione globale conservando e sviluppando nel territorio di origine le funzioni più intelligenti cui corrispondono professionalità non sempre immediatamente disponibili.
Aumenta l’autonomia del lavoratore nella realizzazione delle proprie mansioni e progressivamente si stemperano i rigidi vincoli di subordinazione gerarchica e funzionale. Il prototipo del lavoro subordinato standard non è più la fattispecie di riferimento, nella prassi operativa come nella legislazione sul lavoro. Emergono nuove forme e tipologie di lavoro a forte contenuto auto-imprenditoriale. Cresce la domanda di servizi di cura alla persona e la relativa offerta è spesso inadeguata per quantità e qualità esprimendosi ricorrentemente in forme irregolari.
I cambiamenti qui sommariamente descritti hanno un forte impatto non solo sul funzionamento dei sistemi di relazioni industriali ma, prima ancora, sulla composizione della forza lavoro, sulla qualità e sulla durata nel tempo dei rapporti di lavoro, sui rischi e la sicurezza negli ambienti di lavoro.
Sono trasformazioni che continueranno anche dopo la crisi economica in atto.
L’elemento di costo e la qualità del capitale umano sono i fattori di produttività e di competitività che determinano le decisioni di organizzazione e di localizzazione delle imprese. E sono trasformazioni che investiranno anche i settori protetti dalla competizione, come quello dei servizi pubblici.

Il futuro occupazionale e previdenziale dei nostri giovani si costruisce qui.
Lavorando sulla qualità del sistema educativo e sul quel gioco di anticipo che consenta, attraverso un effettivo raccordo tra scuola e impresa, un tempestivo ingresso nel mercato del lavoro. Sensibilizzando il sistema produttivo sulla valenza culturale e di prospettiva della accettazione delle generazioni in fase di apprendimento all’interno delle proprie strutture, per valorizzare al massimo la capacità formativa della impresa, sino a oggi sottovalutata da tutti gli attori del mercato.

Proteggere e dare sicurezze significa individuare e prevenire quelli che sono oggi i nuovi fattori di rischio e di debolezza. Governare le nuove patologie. Offrire un orizzonte di umanità e dignità. Contrastare le nuove fonti di diseguaglianza sociale. Costruire reti di relazioni tra individui e comunità evitando la solitudine.
Promuovere solidi percorsi di inclusione garantendo a tutti pari opportunità di accesso. Organizzare prestazioni di beni e servizi e non solo erogazioni monetarie. Disegnare nuove politiche che non si limitino a erogare passivamente tutele e sussidi, di tipo risarcitorio o assistenziale, a chi esce dalla condizione di soggetto attivo.

I sistemi di istruzione e formazione devono adattarsi ai bisogni individuali, rafforzare l’integrazione con il mercato del lavoro, rendere trasparenti e mobili le qualifiche, migliorare il riconoscimento dell’apprendimento non-formale e anche di quello informale.


Dal “Libro Bianco sul futuro del modello sociale – La vita buona nella società attiva”, Ministero del lavoro, della salute e delle Politiche sociali, 2009.
Il libro nella sua versione integrale è scaricabile dai siti www.lavoro.gov.it e www.ministerosalute.it

mercoledì 15 maggio 2013

Sistemi integrati per il document management


Il sistema di content and document management, integrato al sistema di unified communication, pone le basi per il Knowledge Management System. In un KMS adeguato non deve mancare la possibilità che il singolo utente del sistema, oltre a poter accedere da ogni luogo e con ogni mezzo, possa organizzare i documenti e le informazioni a suo uso e consumo, suo e del proprio team, a prescindere da come l'azienda ha necessità di gestire ed archiviare informazioni e documenti. Ad esempio, si dovrebbero avere cartelle personali e di gruppo dove aggregare e-mail, documenti e bookmarks (tutto sempre come "link" agli originali) reperibili dai vari "silos" aziendali o da applicazioni specifiche come il Protocollo Informatico, reperibili con un unico e potente motore di ricerca full-text tradizionale o più avanzato, di tipo semantico. Notevole importanza è data anche alla semplicità d'uso, all'ergonomia dell'interfaccia grafica, perché la complessità di un KMS è tale che non sempre ne risulta semplice l'utilizzo, specie quando il KMS è composto aggregando ed integrando molteplici tecnologie. Si stanno affermando tecnologie dove non si parla più di Graphics User Interface (GUI) che di User Experience. Se l'azienda può trovare oggi nel Corporate Portal la sua corrispondente Azienda Virtuale, la persona (o meglio il knowledge worker) trova nel Virtual Desk il suo posto di lavoro ideale da dove poter governare ed utilizzare al meglio il patrimonio di informazioni e documenti, la comunicazione diretta ed indiretta, le proprie attività aziendali e personali. Dal Virtual Desk si deve poter accedere con facilità anche al DashBoard di interesse che riguarda il core business, agli strumenti di reportistica, di studio e analisi dei dati dove poter trarre informazioni utili, strategiche, importanti da poter condividere e depositare nel KMS. Grazie a tecnologie innovative, oggi è possibile avere sistemi di Business Intelligence rapidi, efficaci, che consentono una navigazione negli stessi senza schemi precostituiti, che riescono quindi a seguire l'analista del business nei suoi ragionamenti che, man mano che consulta e seleziona dati, attiva processi cognitivi diversi ed originali. In questo scenario si stanno affermando le nuove soluzioni fruibili via internet gratuite o in modalità pay per use, che per comodità potremmo tradurre in "noleggio operativo, paghi quanto consumi". Se qualche anno fa ha avuto un certo successo l'outsourcing, cioè il demandare ad aziende specializzate la gestione di tutto o parte del proprio sistema informativo, oggi l'outsourcing lo ritroviamo concettualmente riproposto sotto forma di cloud computing che altro non è, appunto, che una nuova forma di outsourcing, cioè di affidamento a terzi di alcune componenti del proprio sistema, cercando di avere più vantaggi che svantaggi. Le tecnologie evolvono sempre più rapidamente ed il ciclo di vita delle competenze è sempre più breve, è quindi sempre più difficile essere aggiornati e stare al passo con l'innovazione. Se a questo aggiungiamo le ristrettezze economiche che non consentono investimenti in formazione come sarebbe necessario, abbiamo una situazione particolarmente critica in cui le aziende hanno sempre la necessità di dover spendere meno, la sensazione di non essere mai aggiornati a sufficienza, che c'è sempre una qualche innovazione tecnologica vissuta come una chimera, una panacea di tutti i propri mali. Diventa vitale che l'antico "fornitore di informatica" si trasformi in consulente, vero e proprio partner del cliente, capace di capirne il business, il linguaggio e le sue esigenze al fine di varare congiuntamente progetti per migliorare le prestazioni e la redditività, per ottenere il miglior rapporto costi/benefici dalle soluzioni adottate. Il fornitore-partner dovrà assicurare il ruolo di "cuscinetto" tra il cliente e le tecnologie, garantendone la conoscenza, la padronanza, la disponibilità per il cliente sia in modalità SaaS (Software as Service), quindi secondo le nuove tendenze del "cloud computing", ma sempre assicurando che le risorse hw e sw siano dedicate al cliente, con gli archivi separati, la sicurezza ai massimi livelli, oppure in modalità in-house, semplificando le strutture hw e sw, limitando il numero di piattaforme da gestire, magari con un servizio di "soft-outsourcing" cioè di gestione complessiva dei sistemi del cliente da parte del fornitore ma a casa del cliente stesso.

http://www.infooggi.it/articolo/sistemi-integrati-di-content-management/42349/

Le aziende italiane in direzione dei social media


Le aziende italiane iniziano ad utilizzare con una certa consapevolezza i social media. In generale prevalgono ancora obiettivi di utilizzo generici come consolidare e trasmettere i valori del brand o dell’azienda e comunicare con i nuovi clienti, ma iniziano a farsi strada obiettivi più strettamente legati al business, come promozioni o vendite e raccolta dei feedback immediati sulle preferenze dei clienti. I dati sono forniti da  Anved (Associazione delle imprese per le vendite a distanza) e Aidim (Associazione delle imprese del direct marketing), come risultati di un’indagine secondo la quale l’utilizzo dei social media sarebbe cresciuto del 2% rispetto allo scorso anno. Dal 75 si sarebbe arrivati al 77% su un campione di oltre tremila aziende selezionate. Si tratta di un segnale dell’utilizzo più cosciente di questi strumenti che hanno visto crescere la loro importanza nel marketing mix delle aziende.
I social media sono considerati particolarmente utili per la crescita e il potenziamento o la difesa dei processi e del posizionamento aziendale sui mercati. Molto più basso, invece,  il numero delle imprese che lo ritengono un metodo per fare crescere le vendite o come strumento valido per il recruiting di nuove risorse. Gli “strumenti”  preferiti sono i social network, utilizzati dal 95%, a seguire con l’82% ci sono i canali foto, video e documenti e i network professionali con il 78%. All’interno delle varie categorie Facebook è in testa con l’89%, seguito da Twitter con il 65% e da Google  Plus con il 34%, mentre i blog raccolgono il 40% delle preferenze.
Migliora anche la frequenza dell’aggiornamento professionale deputato all’utilizzo delle nuove tecnologie. Due terzi degli intervistati sostiene di aggiornare con regolarità il proprio spazio social, compito di solito affidato alle aree marketing e comunicazione. Nel 32% dei casi tale compito è stato affidato, invece, all’area commerciale e nel 20% all’assistenza clienti.  Sei aziende su dieci hanno un team dedicato e poco frequente è il ricorso a risorse esterne per la gestione di questi spazi. Chi lo fa preferisce ingaggiare agenzie specializzate piuttosto che le classiche società che si occupano di comunicazione. 
In generale si riscontra la mancanza di una strategia integrata di social commerce visto che questi strumenti sono al momento utilizzati in prevalenza per generare traffico sul sito e raccogliere iscritti per le newsletter.  Di fronte a questo scenario la soddisfazione media rimane comunque abbastanza moderata. Solamente il 12% delle aziende è pienamente soddisfatto e il 50% lo è solo parzialmente. La fiducia però c’è, in quanto, quasi la metà delle aziende afferma che aumenterà l’investimento nel canale nel breve periodo e, chi seguirà questa strada lo farà, in alcuni casi, in percentuale molto significativa.


http://www.infooggi.it/articolo/le-aziende-italiane-verso-i-social-media/42348/

martedì 7 maggio 2013

Necessità di creazione e comunicazione PEC per milioni di aziende italiane


La Posta Elettronica Certificata (PEC) è il sistema che consente di inviare e-mail con valore legale equiparato ad una raccomandata con ricevuta di ritorno, come stabilito dalla vigente normativa (DPR 11 Febbraio 2005 n.68).
Benché il servizio PEC presenti forti similitudini con la tradizionale Posta Elettronica, è doveroso dare risalto alle caratteristiche aggiuntive, tali da fornire agli utenti la certezza, a valore legale, dell’invio e della consegna (o della mancata consegna) delle e-mail al destinatario.
La Posta Elettronica Certificata ha il medesimo valore legale della raccomandata con ricevuta di ritorno con attestazione dell'orario esatto di spedizione.
Inoltre, il sistema di Posta Certificata, grazie ai protocolli di sicurezza utilizzati, è in grado di garantire la certezza del contenuto non rendendo possibili modifiche al messaggio, sia per quanto riguarda i contenuti che eventuali allegati.
La Posta Elettronica Certificata garantisce, in caso di contenzioso, l'opponibilità a terzi del messaggio.
Il termine "Certificata" si riferisce al fatto che il gestore del servizio rilascia al mittente una ricevuta che costituisce prova legale dell’avvenuta spedizione del messaggio ed eventuali allegati. Allo stesso modo, il gestore della casella PEC del destinatario invia al mittente la ricevuta di avvenuta consegna.
Nell’ottica di semplificare e sviluppare le comunicazioni telematiche aventi valore legale in particolare fra i soggetti economici e la Pubblica Amministrazione, la legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221 del decreto Sviluppo Bis (D.L. 18 ottobre 2012, n. 179) ha anticipato al 30 Giugno 2013 l’obbligo di comunicazione della casella di Posta Elettronica Certificata (PEC) da parte delle imprese individuali già iscritte e attive (art. 5, comma 2) al Registro delle Imprese competente, con esclusione di quelle soggette a procedure concorsuali.  La legge di conversione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 18 Dicembre 2012 ed è quindi già in vigore.
Il numero di imprese coinvolte dal provvedimento è enorme: oltre 3,5 milioni.
Vi è un ulteriore elemento da considerare: la nuova scadenza, andando a sostituire quella originariamente prevista per il 31/12/2013, cade in piena campagna dichiarativi, un periodo già molto pieno per gli studi professionali che saranno chiamati  ad organizzarsi per tempo.
Privilegiando l’utilizzo del servizio PEC rispetto ai tradizionali strumenti di comunicazione (quali fax e raccomandate), si avrà un notevole risparmio di tempo e denaro, ottenuto dal costo fisso della Casella Pec, indipendente dalla quantità/dimensione dei messaggi spediti e/o ricevuti.
Alcuni esempi e ambiti di utilizzo potrebbero essere: privati che vogliono evitare spese e code per l'invio delle proprie raccomandate, aziende che desiderano sostituire la posta cartacea per semplificare i rapporti con clienti e fornitori, enti pubblici che devono inviare comunicazioni ufficiali verso altri Enti o verso i cittadini, inoltro di circolari e direttive, integrazione delle trasmissioni certificate in software gestionali, inoltro paghe e stipendi, invio e ricezione di ordini, contratti, fatture, convocazioni di Consigli, Assemblee, Giunte, gestione di gare di appalto, privati ed aziende che devono inviare documenti alla Pubblica Amministrazione.
I vantaggi, invece, possono essere semplificati nei seguenti punti:
·         Semplicità: Il servizio PEC si usa come la normale posta elettronica sia tramite programma client (Es. Outlook Express) che via web tramite webmail.
·         Sicurezza: Il servizio utilizza i protocolli sicuri POP3s, IMAPs, SMTPs ed HTTPs. Tutte le comunicazioni sono protette perché crittografate e firmate digitalmente garantendo l’integrità dei messaggi inviati e ricevuti
·         Valore legale : A differenza della tradizionale posta elettronica, alla PEC è riconosciuto pieno valore legale e le ricevute possono essere usate come prove dell'invio, della ricezione ed anche del contenuto del messaggio inviato. Le principali informazioni riguardanti la trasmissione e la consegna vengono conservate per 30 mesi dal gestore e sono anch’esse opponibili a terzi.
·         No Virus e Spam: l'identificazione certa del mittente di ogni messaggio ricevuto ed il fatto che non si possano ricevere messaggi non certificati, rendono il servizio PEC pressoché immune dalla fastidiosa posta spazzatura.
·         Risparmio: Confrontando i costi di una casella PEC con quello di strumenti quali fax e raccomandate il risparmio in termini economici e di tempo è notevole.
·         Comodità: La casella PEC può essere utilizzata tramite qualsiasi computer collegato ad Internet.
·         Costo fisso: Il prezzo annuale di una casella PEC è fisso e non prevede costi aggiuntivi in base all'utilizzo.
Per chi non adempie all’obbligo di comunicazione, pur restando ferma la non applicabilità della sanzione prevista dall’articolo 2630 del Codice Civile, le penali si sono fatte più rigide: sono stati ridotti da 3 mesi a 45 giorni i termini entro i quali l’ufficio del registro delle imprese, che riceve una domanda di iscrizione da parte di un’impresa individuale che non ha iscritto il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, sospende la domanda fino ad integrazione della stessa con l’indirizzo PEC. Trascorso tale periodo, naturalmente, la domanda si intenderà non presentata.

http://www.infooggi.it/articolo/si-avvicina-il-termine-per-la-creazione-e-la-comunicazione-della-pec-per-milioni-di-imprese/41808/

Il futuro delle tecnologie satellitari di posizionamento


L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) è un centro pubblico controllato dal MIUR, fondato nel 1988 e costituisce uno dei più importanti attori mondiali sulla scienza della scienza spaziale, delle tecnologie satellitari e dello sviluppo dei mezzi per raggiungere ed esplorare il cosmo. Allo stesso tempo riveste un ruolo fondamentale a livello europeo, all’interno del quale l’Italia è il terzo Paese che contribuisce maggiormente al finanziamento dell’Agenzia Spaziale Europea, quanto a livello mondiale, grazie a uno stretto e continuo rapporto di collaborazione con la NASA, con cui ha partecipato a molte delle più interessanti missioni degli ultimi anni.
La Stazione Spaziale Internazionale (ISS), costituisce, invece, il più importante progetto di cooperazione a livello mondiale in campo scientifico e tecnologico fino ad ora intrapreso e può essere considerato la maggiore opera di stampo ingegneristico dell’essere umano. Con il lancio del modulo logistico Leonardo, risalente al 2001, l’Italia è diventata la terza nazione, dopo Russia e USA ad inviare in orbita un elemento dell’ISS. Oggi oltre il 40 per cento del volume abitabile della stazione è costruito in Italia.
Le attività dell'ASI nel campo della navigazione satellitare sono incentrate sul programma GALILEO, il sistema satellitare europeo di nuova generazione, attualmente in corso di sviluppo grazie a un progetto congiunto della Commissione Europea e dell'Agenzia Spaziale Europea.
L'ASI è altresì impegnata a individuare in Italia opportunità applicative di questo programma, a beneficio tanto dei servizi di pubblica utilità quanto del sistema industriale.
Per raggiungere lo spazio, sia con satelliti che con voli umani, servono servizi di trasporto spaziali, che richiedono ingenti capacità realizzative. A tali esigenze l’ASI, risponde principalmente grazie alla collaborazione a livello europeo e internazionale. L’Italia è, infatti, fortemente impegnata in questo settore, in particolare con VEGA, un media lanciatore per satelliti in orbita bassa che contiene fino a 1500 KG.
Il 2 maggio 2013 è stato effettuato il primo volo commerciale del vettore europeo: a bordo il Vega-V dell’ESA, il vietnamita VNREDSAT e un mini satellite proveniente dall’Estonia: è il primo di cinque lanci di test che fanno parte del progetto VERTA (Vega Research and Technology Accompaniment). Lo sviluppo del VEGA vede l’Italia in un ruolo di primo piano, essendo il principale “azionista” del programma con una contribuzione pari al 65% del costo complessivo.
Nei prossimi mesi sarà invece Venere ad essere al centro di un evento internazionale, mirato ad approfondire gli aspetti scientifici del pianeta, anche in relazione alla missione ESA Venus Express.
A Catania, infatti, dal 10 al 14 giugno 2013 si terrà l’International Venus Workshop; un ruolo centrale del meeting sarà rivestito dai risultati ottenuti dalla missione Venus Express, di cui uno dei maggiori contribuenti è proprio l’ASI, che è anche tra le istituzioni patrocinanti dell’evento.


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